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Gian Francesco Galeani Napione

Saggio sopra l'Arte storica

Prefazione

Note editoriali

Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice

P R E F A Z I O N E

[3] Questa Operetta mia, ch'ora è giunta alla mole pressoché di un Trattato, altro non dovea essere, secondo il mio primo disegno, se non una Dissertazione intorno al modo di scrivere una Storia dell'antica Italia, vale a dire dalle più rimote notizie, che aver si potessero degli abitatori di questa sì famosa parte di Europa infino alla morte di Augusto, ove hanno principio, tolti alcuni anni, gli Annali del Muratori. Sorta mi era in mente questa idea per animare alcuno di quelli, che si sentono capaci di tanto, ad una impresa sì utile, e gloriosa per l'Italia, e per contribuire in qualche parte alla esecuzione del desiderio mostrato dallo stesso [4] Padre degli Annali Italiani (1), facendo come quelle persone, che non avendo forze bastanti per combattere, si contentano d'incoraggiare da lungi i guerrieri alla pugna.

E veramente a chi non riguarda molto addentro, dee parere strano, che non abbiano gli Italiani una Storia compita in lingua propria della Patria loro, quando essi furono i primi a trarre fuor dalle tenebre, ed illustrare, e tradurre gli antichi Storici sì Greci, che Latini, quando gli Italiani abbondano al pari di qualunque antica, o moderna nazione di ottimi Storici, quando gli altri popoli colti hanno la Storia della antica Italia descritta da varj Autori nelle lingue loro, e quando finalmente la Storia dell'antica Italia, che abbraccia i secoli, che corsero infino alla morte di Augusto, è forse per certi rispetti la più gloriosa per l'Italiana nazione.

Questa mancanza nientedimeno io penso provenire da una cagione, la quale se per una parte assolve que' nostri maggiori, che [5] nel secolo XV., e XVI. ristabilirono l'aurea antichità, per altra parte accusa la nostra presente negligenza. Que' secoli furono i secoli de' Grammatici. Gli Scrittori originali andavano per le mani di tutti. La lingua Latina, ed anche la Greca erano intese dalla maggior parte delle polite persone, e, sia che quella, che chiamasi leggiadra gente fosse più dotta, come si può raccogliere dalle Corti dei De-Medici, de' Duchi di Ferrara, e di Urbino, e de' Pontefici Lion X., e Clemente VII., sia che il commercio delle lettere si facesse più grande bensì, ma fra minor numero di persone, fatto sta, che il Sigonio medesimo, che il primo dopo il rinascimento delle Lettere s'inoltrò nel buio de' tempi rugginosi, stese l'Opera sua nella lingua de' dotti. E siccome la barbarie de' Cronisti de' secoli di mezzo l'incoraggì ad intraprendere una Storia colta di quei tempi, così l'eleganza degli Storici antichi sì Greci, che Latini distolse gli Scrittori nostri da un'opera tale, non volendo essi mettersi a gareggiare con un Livio, con un Cesare, con un Salustio, con un Plutarco, che in quella età, in cui fioriva una più severa erudizione, erano letti perfin dalle donne. Sì fatta impresa era tenuta pertanto allora [6] inutile, e pericolosa e dubbia per quello Scrittore, che volesse accingervisi.

Levarono frattanto gran vampa nel secolo susseguente le lettere presso le straniere nazioni, e gli scienziati Francesi principalmente, i quali si pregiano di una letteratura facile, amena, e fiorita, e che vogliono informare infino della più alta Filosofia il bel sesso, non mancarono di dimostrarsi più indulgenti, e cortesi verso i loro nazionali. Già è ora passato l'antico rigore in Italia, e gli Italiani ben lungi di entrar nell'aringo, si servono anch'essi delle opere degli Oltramontani. Bello spettacolo in vero, che gli Italiani debbano leggere la Storia della propria nazione nelle lingue de' Galli domati, e degli ultimi Britanni, sulla selvatichezza de' quali scherzavano una volta i loro maggiori.

Essendo adunque ora da una parte cosa da non potersi più sperare la lettura degli Storici originali: perciocchè ogni specie di persone, cui è utile di saper la Storia, non è capace di farla, ed anche quando fossero capaci, non hanno tutti ozio bastante; e d'altra parte molti essendo i vantaggi, come nel decorso del Saggio si potrà scorgere, che da un corpo intero di Storia raccolto [7] da varj, di varj secoli, di varj caratteri, e talvolta tra loro discordanti Scrittori, si possono ricavare, massimamente quando sia Filosofo il compilatore, oltrechè non è chiaro bene, se le Storie scritte da' forestieri sieno per ogni parte commendabili, buona cosa parevami il venir brevemente accennando quelle regole, che, a senno mio, riuscir potessero a maggior perfezione di tale impresa.

Ma quando fui per accingermi all'opera, in troppo più ampia materia mi vidi trasportato. Perciocché in qual modo si dovesse scrivere loa Storia della antica Italia, non potevasi per me divisare, senza prima stabilire ciò che fosse Storia, le sue varie specie, la materia, il suo fine, ed utilità senza in somma la scienza dell'Arte Storica. Conobbi per isperienza, che non si poteva additare il modo di condur bene una tale particolar dipintura senza trattar delle regole della Pittura in genere. Mi venne pertanto in pensiero di diportarmi per sì fatta maniera, che i precetti generali dell'Arte Storica si adattassero passo passo al modo di scrivere una Storia dell'antica Italia, e venissero per dir così a manifestarsi per mezzo delle riflessioni sopra una Storia tale.

[8] Ma l'imperfezione di questo metodo, il non aver dopo una seria, ed attenta lettura de' più celebri Scrittori dell'Arte Storica, ritrovato alcuno, a cui potessi senza riserbo pormi in braccio, l'essere dalle particolari cose salito a non poche più generali, e che quantunque non paressero dirette a quel mio primo scopo, non mi sembravano però indifferenti per perfezionare l'Arte Storica in genere, mi diede animo a rompere di bel nuovo questi confini, e scorrere un ancor più largo, ed aperto campo, quale si è l'Arte Storica stessa. Non ho tralasciato però quasi per gratitudine di venire adattando alla Storia della antica Italia quelle riflessioni, che potevano riuscir utili alla medesima, la qual cosa non solamente potrà giovare a chi volesse intraprendere una tal' Opera, ma eziandio all'Arte Storica in se.

Ed in fatti Agostino Mascardi, che nel secolo scorso scrisse di quest'Arte ampiamente, dice (2), che avea in animo di osservare i precetti di quella in una Storia determinata per vederli messi in pratica. Ottimo avviso certamente era il suo, per dar corpo in certa maniera alle regole, ma non già [9] il migliore per mostrarne l'uso; essendo impossibile, che uno Scrittore trovi Storia tale, la qual corrisponda ognora a' suoi pensamenti. Per congiungere queste due utilità stimo partito più giovevole, che lo Scrittore s'immagini una tale Storia di una nazione, ed a questa li venga, quando cade in acconcio, adattando; perciocché è forse più facile, che un mediocre ingegno si formi l'idea di una perfetta Storia di quello, che facil sia, che un uomo sommo la metta in esecuzione. Così disse lo stesso Cicerone, che quantunque giungere non potesse a quell'utimo grado di eccellenza, che ideavasi, vedeva tuttavia ciò, che si convenisse (3); e chi volle dare l'idea del perfetto Principe, del perfetto Capitano, del perfetto Oratore Cortegiano Pittore ec., non prese a considerare una tale particolar persona, ma seguì quella idea astratta di perfezione, che dalla natura del soggetto poté ricavare.

Di una cosa ancora mi resta da avvertire il Lettore innanzi di por fine, ed è, che posso assicurarlo non essermi accinto a questa impresa per vano desiderio di moltiplicar [10] libri. Se creduto mi fossi, che questo mio Saggio non potesse rendere inutili per avventura non pochi altri trattati di tal'Arte, non mi sarei messo a scrivere giammai, dovendo i buoni libri essere, secondo il detto del famoso Bacone (4), come il serpente di Mosè, che divorava gli altri prodotti da que' negromanti d'Egitto. Né questo penso vorranno i giusti estimatori delle cose attribuirlo a presunzione, o superbia, ma anzi ad ingenuità mia: perciocché tutti coloro, che mettono alla luce un trattato di alcuna Scienza, se non giudicassero, che contenesse almeno tutte le principali verità ad una tale Facoltà appartenenti, le quali presso a' precedenti Scrittori si trovano disperse, non modestia il loro modo di pensare, ma disprezzo del pubblico chiamar si potrebbe giustamente. Non so io pertanto, se questa mia Operetta conterrà di fatto le più importanti verità dell'Arte Storica, che anzi conosco bastantemente e la natura della umana ragione, e tanto più me stesso, per aver non poca ragion di temere il contrario, ma so di certo, ch'io stimo che le contenga.

[11] Che poi sieno mie, o d'altri le riflessioni, che verrò facendo, questo poco importar dee sia a me, sia al lettore, dovendo esser proprio degli spassionati Filosofi il pregiarsi egualmente di essere possessori, che inventori del vero. Che anzi, anche per conto della gloria, ultima passione del Saggio, maggiore è certamente quella dell'inventore, ma non è ultima lode quella di colui che fondatamente dalla quasi immensa varietà di opinioni sceglie quella, che vera giudica. In quanto però al presente Saggio, ognun può vedere, che mia propria è, qualunque siasi, l'orditura, mie le fila maestre. Non debbo però tacere di aver ricavati molti lumi da alcuni Scrittori; ed anche quando stimai di dipartirmi dalle opinioni loro, il presentarmi ch'essi fecero gli oggetti per diversi lati, mi accennò talvolta la strada per giungere alla verità: poichè gl'inganni degli uomini grandi sogliono per lo più provenire, non già dall'osservar, ch'essi facciano le cose sotto un falso aspetto, ma dal dare a quell'aspetto medesimo, sotto cui le guardano, maggiore o minor estensione di quello, che per natura sua si abbia. Quando poi (il che nelle particolari cose è successo non di rado) io servito mi sono di alcuni luoghi [12] de' mentovati Scrittori, non ho mancato, se pure non m'ingannò la memoria, di citarne il nome, e l'Opera, affinchè se contengono verità, non sieno defraudati della gloria della invenzione i loro Autori, altrimenti tutto mio sia il biasimo di averli creduti tali. Non m'è ignoto essersi già diffusa per l'Italia una usanza venuta d'Oltremonti di sbandire le citazioni dalle Opere di ragionamento: ma, per non ripeter quello, che in una sua dotta Opera scrisse a questo proposito il Signor Genovesi (5), mi basterà il dire; che se a buona ragione chiamano questi moderni Filosofi vecchia pedanterìa l'opprimere gli argomenti sotto il peso d'infinite citazioni, qual era l'uso di non pochi degli Scrittori dello scorso secolo, il servirsi de' pensamenti altrui, come fanno alcuni tra loro, senza recar il nome degli Autori è pedanterìa nuova bensì, ma non già pedanteria minore.



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(1) E chi sa, che non nasca, o non sia nato alcun altro, che prenda anche a trattare la Storia dell'Italia dal principio del Mondo infino a quell'anno, dove io comincio la mia? Murat. Prefaz. agli An.

(2) Mascard. Arte Storic. Trat. ult. in fine

(3) Cic. de Orat. n. 103.«Non assequimur at quid deceat videmus».

(4) Bac. Verul. de Dignit.& Aug. Scient. Lib.II in praef.

(5) Genovesi Logica Lib. III. Cap. IV. § XIV.



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