Eliohs: Electronic Library of Historiography
01
 
Collane Catalogo Generale Altre Risorse Home

Gian Francesco Galeani Napione

Saggio sopra l'Arte storica

Capo terzo

Note editoriali

Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice

CAPO III

Della Storia universale di una Nazione, della sua materia, fine, ed utilità.

[67] Vaghe, ed incerte per lo più essendo le idee, che comunemente sotto uno stesso vocabolo vengono comprese, chi vuole con qualche precisione trattare una materia dee prima di tutto, come ci siamo studiati di fare, stendersi tanto ampiamente, quanto quel tal vocabolo può estendersi, e quanto la natura della cosa ha bisogno, che si estenda per poter essere da quello rapresentata, onde, come osservò il Signor Genovesi, anche le parole più usuali nelle scienze adoperansi con una certa finezza ignota agli idioti(1). Ma fa poi d'uopo restringersi in que' limiti, che non si trapassano per l'ordinario dai più, e vedere quanta parte di quell'ampia, e generale idea venga da questa particolare compresa; cioè quali sieno quelli degli elementi, direi così, che dovrebbero entrare per comporla, che comunemente si ammettono, quali quelli, che manchino, quali sieno tolti da diverso [68] soggetto, e condotti ad entrare in una idea, in cui rigorosamente non dovrebbero trovar luogo. In questo modo si soddisfa a' Filosofi, ed al popolo, ed a quelli, che popolarmente scrivono.

Ciò posto troppo sottili, e lontane dalla materia saranno sembrate infino ad ora le nostre speculazioni a taluno, tuttocché necessarie; parleremo ora di quelle idee, che corrispondono secondo il popolar uso alla voce di Storia, volgendo però di tanto in tanto l'occhio a quella più precisa idea, che dato ne abbiamo nel Capo antecedente, e che, per adattarsi alle degradazioni della Natura, ed all'uso comune, è forza di abbandonare.

 

§. I. Delle varie mescolanze de' diversi generi di Storia, che compongono ciò, che chiamasi Storia in pratica.

Intendesi adunque comunemente per Istoria la narrazione delle operazioni degli uomini, vale a dire ciò, che fu fatto, detto, o pensato dagli uomini, che è quanto compone appunto la Storia delle operazioni degli uomini. Che l'uomo possa pensare, parlare, ed operar liberamente appartiene alla [69] Storia della Natura in se; ma che abbia avuto un tale, od un tal altro pensiero, che abbia operato in questa, od in tal'altra maniera riguarda la Storia delle operazioni degli uomini. Né si esclude parte della Storia delle operazioni degli altri Enti liberi, e della Storia medesima della Natura in se, quando hanno correlazione colle umane azioni, non già qualunque correlazione, perché essendo ogni cosa per qualche lato con altre connessa, non resterebbe alcuna parte di Storia esclusa, ma la Storia soltanto di queste cose, che maggiore influenza hano sopra la Storia delle umane azioni. Molto v'entra perciò della Storia delle operazioni divine. Della Storia della Natura v'entra pure in gran parte quella del Mondo corporeo, fenomeni, terremoti, vulcani, e sopra tutto descrizioni di paesi, di fiumi, di mari, delle incliazioni, e dell'indole degli uomini in quanto provengono dal clima, dalla costituzione del corpo, e dalla fisica educazione.

Hanno pure gli uomini concesso il nome di Storia alla Storia del Mondo corporeo, chiamandola Storia della Natura, quasiché i corpi l'intera Natura comprendessero, forse perché una tale Storia è più visibile, né ha tanto mestieri di ragionamento, e di sottili [70] ricerche per essere trattata come la Storia del Mondo spirituale, ed intellettuale, che insieme a quella del corporeo compongono la intera Storia della Natura.

La Storia delle operazioni umane abbiamo veduto dividersi in tante specie, in quante si dividono le azioni medesime degli uomini, ed il fine di ciascheduna di queste Storie si è il fare, che quelle azioni, a cui spetta, sieno al maggior possibile vantaggio dirette. Dal che si comprende senza lunga disputa, che di ciascheduna di queste possa riuscir Scrittor migliore: perciocché ognun vede, che sarà colui, il quale meglio conoscerà il fine di quelle umane operazioni, le quali compongono una tale Facoltà, od Arte, ovvero a quella appartengono. Così se il Vasari Pittore scrisse ottimamente la Storia della Pittura, Polibio, e Cesare guerrieri scriveranno bene la Storia militare, Fleury Ecclesiastico l'Ecclesiastica, e così sia detto d'ogni altro genere di Storia. Fu veduta in parte questa verità dal Montaigne(2) [71] perciocché dicendo, ch'egli era uso di por mente a qual professione fosse propria dello Storico, che prendeva a leggere, dà a divedere, che dovendo leggere la Storia di azioni tali, che ad una special professione appartenessero, avrebbe desiderato, che scritta fosse da uno, che di quella fosse perito; e questo medesimo suo sentimento si raccoglie pure da quanto dice altrove(3), cioè i migliori Storici essere o quegli stessi, che hanno condotti gli affari, o quelli, che hanno avuto la sorte di trattarne de' simili, soggiungendo non potersi sperar nulla da un Medico, che tratti della guerra, o da uno [72] scolare, che scriva de' disegni de' Principi.

Qui è luogo opportuno di favellare di una divisione della Storia molto usitata, ed è in Istoria Civile, Eclesiastica, e Letteraria. Quali specie di Storia delle azioni umane cadano precisamente sotto queste Storie, l'abiam veduto sopra, e quì stimo di accennarlo di bel nuovo a proposito de' varj mescolamenti, de' varj generi di Storia, poiché non solamente la Storia Civile rinchiude tutte le diverse specie di Storia delle azioni morali (esclusa però quella parte delle operazioni umane, che alla Religione direttamente appartengono) non solamente la Storia Ecclesiastica abbraccia, oltre a questa parte delle operazioni umane appartenenti alla Storia morale, tutte, o quasi tutte le operazioni divine, avendo tante relazioni l'Ente sommo cogli uomini, e non solamente la Storia Letteraria, cioè la Storia estrinseca delle Scienze, e delle Arti comprende le operazioni tutte dell'uomo circa al Mondo reale, ed all'immaginario: ma è da riflettere inoltre che non si può in tal modo trattare la Storia Civile, che non si tratti o poco o assai della Ecclesiastica, avendo tanta connessione le cose della Religione colle azioni civili. Lo stesso dicasi de' progressi, [73] e rivoluzioni delle Scienze, e delle Arti, che tanto influiscono eziandio ne' maneggi pubblici, nella cultura, ne' costumi, e ne' modi, e foggie di vivere de' popoli; come anche viceversa scrivendo la Storia Ecclesiastica, o Letteraria non si può fare a meno di non mescolar con quella, che si tratta le altre due. Ben è vero, che dee in una Storia Ecclesiastica campeggiare il fine principale, per cui si scrive; cioé la Religione, e nelle altre il Governo, e le Scienze: ma tanto sono tra di loro connesse le cose, che sovente fa d'uopo non solo dar notizie, che al principal fine non appartengono, ma anche, come è detto, inserirvi molte particolarità della Storia della Natura in se per la relazione, che hanno colle umane azioni.

 

§. II. Della Storia universale di una Nazione. In che consista l'Arte Storica di questa specie di Storia.

Ora che abbiamo veduto i varj, ed inevitabili mescolamenti, che sono in uso delle diverse specie di Storia, ne proporrò io uno, che parte di tutte le specie delle operazioni [74] umane abbraccia sia morali, sia circa al Mondo reale, sia circa allo immaginario, o per ispiegarmi diversamente, sia circa alla Religione, sia civili, sia letterarie, oltre al prendere, come abbiam veduto, parte della Storia della Natura in se e delle operazioni degli altri Enti liberi, come di Dio, e degli Spiriti.

Tutte le umane operazioni sono o buone, o ree, utili al pubblico, o no, onde possono ridursi tutte sotto la Morale, o sia Scienza dell'uomo, e sotto la Politica. Quella Storia pertanto, che rinchiude tutte le umane azioni in quanto contribuir possono al maggior conoscimento dell'uomo, ed a perfezionar l'Arte del Governo, chiamar puossi Storia universale di una Nazione. Dal che si comprende, ch'io non intendo per Istoria universale quella, che abbraccia tutte le principali azioni di tutti gli uomini, di tutti i secoli, e di tutti i paesi, impresa ampia, e sterminata, sebbene, come ottimamente avvertì Bacone(4), non mancando relazioni tra i diversi popoli, e le diverse età, ha degli avvantaggi proprj di lei sola, né si [75] può dire rigorosamente parlando impossibile affatto: ma bensì intendo quella, la qual contiene tutte le azioni notabili di una tal nazione, o secolo. Notabili, vale a dire che servono a quello, che é il fine di questa Storia; in somma la chiamo universale, perché abbraccia parte di tutte le specie di azioni umane, non già perché si estenda su tutti i paesi, o su tutti i secoli.

Il determinare le regole di questa specie di Arte Storica, che è quella, a cui d'ora in avanti restringeremo le nostre osservazioni, non è tanto facile quanto appare. Per fare la scelta de' fatti dee conoscere lo Storico il fine della Morale, e della Politica, sotto le quali Scienze venendo, come abbiam detto , tutte le operazioni dell'uomo, dee avere lo Storico sufficiente notizia di ciascun'Arte, e Facoltà in quanto buona, o cattiva, utile, o dannosa, ond'è mestieri, che conosca come Filosofo e l'uomo, e la Natura. Per assicurarsi di questi fatti è d'uopo, che metta in pratica quella specie di Arte Critica, che è necessaria per quella tale nazione, o secolo, che prende a descrivere. Dee avere inoltre la notizia de' tempi, buon discernimento per disporre gli avvenimenti, stile chiaro, elegante, e dignitoso [76] per narrarli. Dovrà perciò trattare l'Arte Storica di una Storia universale della Filosofia morale, della Politica, della Critica, della Cronologia, della Rettorica? Fissiamone quanto più si può precisamente i suoi limiti. E' veramente officio suo l'accennar l'uso, che di queste Facoltà far si dee, ma non è poi officio suo il trattare ex professo di ciascheduna di queste, perché in questo modo si verrebbe a confondere l'Arte Storica colle altre Scienze.

Si può adunque definire l'Arte Storica delle operazioni umane: il modo di ricercare, ed esporre quelle operazioni degli uomini, che meritano di essere narrate; l'Arte Storica della Storia universale di una Nazione, quale è quella, di cui trattar dobbiamo: il modo di ricercare, ed esporre quelle umane azioni, la di cui notizia serve a perfezionare le Scienze morali, e politiche; l'Arte Storica delle Storie particolari delle umane azioni: il modo di ricercare, ed esporre quelle azioni, le quali è giovevole, che sieno conservate per quella tal Facoltà ad utilità, di cui la Storia particolare è diretta.

Se pertanto diverso è il fine della Storia universale di una Nazione, e delle Storie particolari, avendo luogo nella Storia [77] universale le Storie particolari soltanto in quanto contribuiscono al conoscimento dell'uomo, ed alla pubblica felicità, non può lo Storico di questo genere di Storia andar dietro a certe minute particolarità, che utili sono unicamente per chi vuole considerare i particolari soggetti. A misura che diminuisce l'ampiezza della Storia, cresce la mole de' fatti particolari, e minuti, di cui si vuol far menzione. I consumati, ed avveduti Politici, i Filosofi profondi dirigono le molle maestre, e di queste sole abbisognano, lasciando agli Storici particolari la cura di conoscere, e dirigere le subalterne. Utilissima, ed anzi necessaria cosa sarebbe in una Storia della moderna Italia dare un cenno intorno al ristabilimento, ed a' progressi della Pittura, Scultura, ed altre Arti del Disegno, ma si potrebbe tollerare, ch'altri vi cacciasse dentro tutto intero il Vasari, od il Baldinucci? Così nella Storia universale dell'antica Grecia non si potrebbe senza grave taccia tralasciare un preciso ragguaglio della dottrina, e delle varie opinioni dei suoi Filosofi, ma si dovrebbe per questo trasportare nella Storia universale quanto abbiamo a questo proposito da Diogene Laerzio?

[78] Del rimanente tanto maggiore ha da essere la mole delle azioni particolari, che devono trovar luogo in una Storia universale, quanto più direttamente, e da vicino influiscono sulla felicità, sicurezza, e gloria de' popoli, e perciò tanto maggior cognizione suppongono di queste. Così il Diritto della Natura, l'Economia civile, le Scienze morali, ed anche teologiche, la Scienza delle leggi, delle negoziazioni politiche, e del commercio devono essere più conosciute dallo Storico, che le belle Arti, o molto più che le Scienze astratte. Poco avrebbe importato, che il famoso Tuano avesse avuto minor notizia delle umane lettere, e sarebbe da desiderare, che maggiore avuta ne avesse delle Finanze, che non sarebbe caduto in quegli errori, di cui viene accusato da un suo nazionale(5).

Vero è, che talvolta si vuol pure inserir nella Storia parte delle Scienze astratte, ma è quando lasciano di esserlo. Così, avvegnaché, per quanto abbiamo detto, bastasse in una Storia universale dell'antica Italia accennare, che vi fu un Archimede, la sua [79] morte, la scoperta del suo sepolcro fatta da Cicerone, lasciando a chi intraprendesse a descrivere la Storia estrinseca delle Matematiche, il registrare i ritrovati di lui, non si potrebbero tuttavia passar sotto silenzio le sue macchine nella difesa di Siracusa.

Si dee pur riflettere, che talvolta un determinato genere di azioni di sua natura non contribuirà tanto come un altro genere alla felicità degli uomini, nulladimeno in una Storia universale di una tal nazione se ne dovrà trattare la Storia con maggior estensione di quella d'ogni altro, per aver fatto le azioni, che cadono sotto un tal genere di Storia particolare, la principal occupazione di questa, ed alle medesime dover essa la maggior parte de' suoi progressi, per aver queste formato in una parola, come si suol dire, lo spirito di una tal nazione. Per prendere di nuovo un esempio dalla Storia universale dell'antica Italia, la Storia militare de' Romani vuol esser trattata con molto maggior estensione di quello, che per natura sua si meriterebbe, essendo stata la milizia l'occupazione più favorita de' Romani, e dovendo in grandissima parte a questa la celebrità loro, e l'impero. La Storia della navigazione, e del commercio, per [80] servirmi di un altro esempio tolto dalla Storia moderna, dovrebbe primeggiare in una Storia universale dell'Ollanda, essendo state queste due professioni le nutrici di quella Repubblica infino dal suo stesso nascimento.

 

§. III. Della utilità morale delle Storia universale di una Nazione.

Abbiam detto il fine della Storia universale consistere nella utilità, che da questa proviene alla Scienze morali, e politiche. Vediamo ora pertanto come la Storia universale serva a far conoscere il cuore, e la natura dell'uomo, e ad indirizzarlo alla virtù, cioé alla Morale, e serva a far conoscere, e dirigere le molle maestre del civil reggimento.

Il fine della Morale non è altro se non fare, che l'uomo conosca il dover suo, sappia i suoi diritti, e non offenda gli altrui, in somma che l'uomo faccia il bene, e si astenga dal male. Per ottenere ciò non basta conoscere soltanto questi diritti, e questi doveri, ed anche persuader l'uomo per mezzo di raziocinio della giustizia di questi, ma [81] bisogna pure conoscere il suo intendimeto, e le sue passioni per rimuovere gli ostacoli, che dalla depravazione sia dell'uno, sia dell'altre possono provenire, e servirsene utilmente per indirizzarlo al bene, non essendovi forza od impulso nella Natura, che ben regolato non serva a produrre ottimi effetti. Bisogna pertanto, che il Filosofo morale conosca l'uomo, l'estensione, la forza, ed i difetti del suo intendimento, e delle sue passioni, dee perciò far l'analisi di queste, e di quello, e per la connessione, e relazione, che ha con queste due qualità dell'uomo il corpo, anche l'analisi del corpo. Ma l'uomo, dice maestrevolmente il Signor Genovesi(6), è un tal essere, che non iscopre mai la sua natura, se non nella unione cogli altri uomini, e ne' varj siti, relazioni, interessi, ch'egli ha con questi. Ora qual facoltà, se non diverse Storie universali di diverse nazioni scritte da Autori Filosofi, può presentarci l'uomo ne' varj siti, relazioni, interessi, ch'egli ha cogli altri uomini?

Dice Fontenelle ne' suoi pensieri sopra la Storia, che chi avesse talento, considerando semplicemente la natura umana, [82] indovinerebbe tutta la Storia passata, e tutta la futura, senza mai aver inteso parlare di alcuno avvenimento. Egli direbbe: la natura umana è composta d'ignoranza, di credulità, di vanità, di ambizione, di malizia, e di un poco di buon senso, e di probità in mezzo a tutto questo, ma la di cui dose è molto piccola in proporzione degli altri ingredienti; onde se quest'uomo volesse esaminare tutte le varietà, che possono produrre questi principj generali, e farli girare per così dire in tutte le possibili maniere, egli inventerebbe minutamente un gran numero di fatti o avvenuti effettivamente, o del tutto simili a quelli, che sono avvenuti.

Tutto vero, ma il Signor Fontenelle suppone, che si possa aver perfetta conoscenza dell'uomo senza la Storia: ma se, come è detto sopra, non si può senza questa avere una tal perfetta conoscenza, tanto più verisimile potrà fingersi la Storia da cotesto Filosofo da lui immaginato, quanto maggior numero di Storie vere gli saranno note, vale a dire quanto meglio conoscerà la natura umana. Non dice egli stesso poco avanti, che l'uomo si conosce meglio negli altri, che in se medesimo? Dunque non esclude [83] almeno la Storia presente degli uomini del suo paese, e del suo secolo; ma queste voci altri uomini nel vero loro significato abbracciano le diverse Storie universali delle diverse nazioni del Mondo. Il tante volte lodato Bacone trattando appunto del modo di perfezionare quella parte della Scienza morale, ch'egli chiama Coltura dell'animo, giudica necessarissima prima di tutto la notizia de' caratteri diversi degli uomini, ed il miglior fonte, che accennar si possa a parer suo per questo, è la lettura de' buoni Storici(7).

Sembra veramente che chi osservasse una nazione dalla barbarie de' suoi rozzi principj sino alla coltura, al lusso, ed alla decadenza, e rovina, dovrebbe avere un modello della Storia d'ogni nazione, resta però ancora la diversità del clima, che
Simili a se gli abitator produce,
diversità, che non è sì essenziale al certo, come pretende Montesquieu, ma che pure esiste, non ostante ciò, che lasciarono scritto altri celebri Filosofi. Del resto, conosciuta la [84] Religion vera, la qual potea, e dovea cagionar mutazioni nell'uomo, in pratica al certo al conoscimento di quello molto serve l'analogia.

Ecco le utilità, che dalla Storia provengono alla Morale, direi così, teorica, a chi vuol aver conoscenza degli ultimi recessi, del cuore, e dell'intelletto umano per governar bene se stesso, o gli altri. Parleremo ora brevemente della utilità della Storia per rispetto alla Morale pratica, utilità più comune e popolare.

Il natural senso di approvazione, e di disapprovazione, che v'è nell'uomo, fa che alla sola narrazione di una sceleratezza si raccapriccia, ed all'opposto quella di un'azione grande, nobile, generosa gli commuove dolcemente l'anima. Or che farà se lo Storico, essendo bene al fatto del cuor dell'uomo, saprà nel descrivere una cattiva azione farne concepire tutto l'orrore, che merita per la malvagità sua in se, per li danni, che apportò a colui, che la commise, l'infamia, di cui coprì il nome di lui? Per lo contrario nell'esporre una bella azione porrà nel suo pieno lume i beni, che ne derivarono, la gloria, che ne venne a colui, che la fece? Certo è che ultimissima cosa [85] essendo indirizzar l'uomo con tutti i mezzi possibili al cammino della virtù, scrivendosi la Storia in questo modo, l'amor della gloria, il timor della infamia, l'onestà in se, tutto contribuirà a commuovere la sensibilità del lettore, a rapirlo, a condurlo per le vie battute dagli Eroi, ed allontanarlo sempre più dalla strada del vizio. La virtù è tale, come bene osservò Plutarco(8), che non solo, come nelle esterne cose, gli uomini ne ammiran l'opera, come sarebbero Statue, Pitture, Poemi, ma se gli desta pure nell'animo amore, ed ammirazione verso que' personaggi, che ornati ne sono; perciocché desideriamo soltanto possedere i beni esterni, e goderne, ma nelle virtuose azioni desideriamo le cose medesime. Le cose esterne desideriamo, che da altri ci sieno somministrate, queste bramiamo noi di somministrare altrui. L'onestà trae a se, e tosto spinge ad emularle, né solamente rende buono il lettore, quando le imita, ma il solo osservare una bella azione fa sì che siamo forzati a giudicarla degna d'essere preferita ad ogni altra. Del resto non è inutile l'accennare, che se il Citarista, come si dice, è [86] quello che parla meglio della cetra, e perciò della Guerra il Guerriero, della Politica il Filosofo politico, fa d'uopo che lo Storico sia virtuoso se ha da parlare degnamente della virtù.

E si dee certamente confessare a vergogna nostra, che a questa utilità della Storia poco pensano per lo più i moderni Scrittori, e tuttocché per li lumi datici dalla Rivelazione abbiasi a' nostri tempi una molto più perfetta Morale, che quella non fosse degli antichi, contuttociò essi inserivano tanto più della loro imperfetta nelle opere loro, che noi della nostra, che per questo rispetto ci vincono ancora nella utilità. L'Istoria ha da essere un catechismo di Morale. Gli antichi, dice il Signor D'Alembert(9), ne hanno meglio conosciuto l'utilità. Plutarco e Senofonte tra' Greci, Valerio Massimo tra' Latini ne possono essere ottimi testimonj. Disse pertanto a questo proposito un gran Personaggio, uno di quelli, che fanno onore al nostro secolo: un giovane, che voglia formar l'animo suo alla gloria, non dee leggere le moderne memorie, [87] ma Plutarco, ma Tito Livio; e appunto di lui fu detto a buona ragione essere uno di que' personaggi, che non si trovano più se non nelle vite di Plutarco(10).

Si potrebbe pure, come propone il medesimo Signor D'Alembert(11), scrivere Storie particolari per un determinato genere di persone, Magistrati, Soldati, Agricoltori, Mercanti ec., il cui fine fosse instillar virtù, e destar gli animi ad emulare i più specchiati esempj di giustizia, di fortezza, di valore, di amor della patria, di magnanimità, di disinteressatezza, che si ammirano in persone della stessa professione di ciascheduno. Vero è, che la Storia medesima farà ben diversa impressione in un'anima volgare da quella che farà in un'anima grande. Le imprese di Milziade, e di Alessandro, che avranno per avventura inutilmente pasciuto la curiosità degli oziosi, non lasciavano riposare Temistocle, e fecero sparger lagrime di generosa invidia a Cesare, come una scintilla se cade sopra una combustibile materia farà in brev'ora avvampare un maestoso incendio, si perde se cade nell'acqua. [88] Tanto sia detto della utilità, che dalla Storia deriva alle Scienze morali, passiamo ora a quella, che ne viene alle politiche.

 

§. IV. Della utilità politica della Storia universale di una Nazione.

L'uomo vuol vivere col minimo possibile dolore, i bisogni sono privazioni di ciò, che gli conviene, e per questo dolori; dolori maggiori, o minori, a misura ch'essi sono più o meno stringenti; ora l'arte, che studiasi di placare tutti questi bisogni, è la Politica. Platone la definì l'Arte di dare a mangiare, cioè di dirigere le arti nutrici. Ma di questa definizione si raccoglie, che questo Filosofo vide soltanto una parte dell'officio della Politica: perciocché l'uomo non ha soltanto bisogni animaleschi (che sotto la parola di mangiare voglio credere, che tutti questi tali egli abbia compreso), ma ha pure i bisogni dell'uomo. Il desiderio, che ha di distinguersi, la necessità, che ha di occupare in qualunque grado, o condizione, che si trovi la sua mente, la brama, che ha sempre di cose nuove, e l'inestinguibil [89] sete di giungere ad una felicità maggiore, sono bisogni dell'uomo come uomo, e che talvolta stringono tanto come i bisogni dell'uomo come animale.

La Politica pertanto dee procurare di trovar mezzo di soddisfare a tutti questi bisogni, o almeno sminuirli, acciocché l'uomo possa menar sua vita col minimo possibile disagio: ma tutte le operazioni degli uomini sia morali, sia circa al Mondo reale, sia circa all'immaginario, possono contribuire a far che l'uomo viva col minimo possibile disagio, dunque tutte le specie delle umane azioni per questo rispetto cadono sotto la Politica; per la qual cosa la Storia universale, che abbraccia tutte le pù notabili operazioni di una Nazione, dovrà pure in tanto riguardarle, in quanto sono utili o no al pubblico bene.

L'utilità poi, che proviene dalla Storia alla Politica, consiste in ciò, che l'osservare i modi, i quali furono posti in opera dagli uomini per guardarsi da certi mali, o per giungere a certi fini loro, i Sistemi loro di Governo, le ragioni, per cui una tal legge, un tale instituto fece la felicità, o la miseria de' popoli, presentando le cose per molti, e diversi lati, che da noi medesimi [90] non ci sapremmo immaginare giammai, ci dà una più sicura conoscenza de' bisogni dell'uomo, qual sia il modo di rimediarvi, e come sfuggir si debbano gl'inconvenienti, che nascono talvolta dal rimedio medesimo. In somma quanto più l'intelletto è stato volto, e rivolto in differenti maniere sopra un soggetto diventa più fecondo; laonde è utile alla Politica la Storia universale, come alla Geometria la Storia estrinseca di questa. Il Politico si feconda la mente nella Storia, come il Signor Varignon traea lumi, per attestato del Fontenelle (12), dalla Storia estrinseca della Geometría.

V'è pure un'altra utilità grandissima della Storia universale per riguardo alla Politica osservata da Bacone(13), ed è il darci che fa l'esperienza negli affari più importanti. È cosa a tutti palese, che le grandi occasioni, in cui s' abbia maggiormente bisogno della civile prudenza, non succedono nella vita di ciaschedun uomo: perciocché, siccome spesso accade, che il nipote, od il pronipote si assomiglino piuttosto nelle sembianze all'avo, ed al bisavolo, che al [91] padre, così avvien non di rado, che gli affari presenti si adattino maggiormete a' più antichi esempi, che a' più vicini. Senzaché l'ingegno, e l'esperienza di una persona sola sono tanto più ristretti dall'ampiezza della Storia, quanto son più ristrette del pubblico erario le entrate di un privato.

Quella esperienza, che colla pratica si acquista, è tarda, e talvolta mal sicura maestra degli sciocchi. Lucullo, ed altri uomini grandi non ne ebbero bisogno, e Bacone(14) osserva essere stati più celebri per lo governo i Pontificati di que' Papi, che furono dal silenzio de' chiostri, e dal ritiro delle loro studiose celle innalzati a tal dignità, come Pio V., e Sisto V., che stati non sieno quelli di coloro, che vi giunsero dopo aver menato la vita loro nelle Corti de' Principi in mezzo a pubblici maneggi, ed a politiche negoziazioni. Il nostro secolo conferma l'osservazione di Bacone.

Ciò posto disse ottimamente il Signor Genovesi(15), che il calcolo di molti fatti umani presentatici dalla Storia ha generato la Politica, l'Economia, e le altre Scienze morali, [92] e si dice comunemente, che la Storia è l'occhio della Politica. Ma è da considerare, che si potrebbe dire viceversa essere la Politica l'occhio della Storia; perciocché se i dati Storici ajutano il Politico, facendoli vedere il bene, che provenne dall'essere state messe in pratica le sue teorie, od il male, che cagionò l'essersi i Legislatori diportati diversamente, si richiede anche occhio politico per vedere nella Storia quelle cose, che al Politico sono necessarie, e farne scelta. I buoni Storici, per dirlo in una parola, devono essere Politici, ed i buoni Politici Storici. Lo stesso dicasi in quanto alla Morale. Il Filosofo morale ha da essere Storico, e lo Storico Filosofo; allo stesso modo, che fa d'uopo esser Fisico per istendere una buona Storia de' fenomeni, non meno che per servirsene utilmente.

Questo è pure uno de' circoli, che scambievolmente ajutandosi fanno le verità, della qual cosa altre volte abbiam ragionato. Guai al Filosofo, guai allo Storico, che vogliono limitarsi tra certe idee, e tra certi confini. La Natura è ampia, e divisa, ma con tutto ciò non mancano connessioni tra le cose, che pajono più disparate, relazioni tra le più particolari, e le più generali, [93] devono pertanto ed ampiamente riguardarla, e vederne le partizioni, e conoscerne le connessioni coloro, che si assumono l'officio d'interpreti della Natura.

Tal'è l'utilità, che da una Storia universale dee derivare; ma chi ne sarà lo Scrittore? «Ella è un gran quadro (per servirmi delle parole di un nuovo Platone), che comprende costumi, leggi, e vicende dell'uomo: unisce i secoli, e li confronta, scorre gl'Imperj, e si arresta all'alzarsi, e al cader loro penetrando nelle ragioni di questo, e nello spirito, come suol dirsi delle leggi, e de' costumi, seguendo il corso delle umane passioni, ed il giuoco delle politiche» (16). E per chi dic'egli esser tale la Storia? Per un uomo di Genio com' ei lo chiama. Un uomo di Genio adunque sarà lo Scrittore di una Storia universale, vale a dire un uomo, che congiunga ad una bella, e grande fantasía un retto, e chiaro giudizio, e che dello studio dell'uomo, e delle Scienze morali, e politiche abbia fatto le sue delizie.

 

§. V. Della scelta de' fatti.

[94] Scoperto il fine, e la utilità della Storia universale, resta da ricercarsi in qual maniera ottener si possa questa utilità dallo Scrittore di un tal genere di Storia. In due modi io penso; colla scelta de' fatti, e colle riflessioni.

E per cominciare dalla scelta de' fatti: gli avvenimenti, le epoche, le genealogie alla Storia sono come le minuzie grammaticali alla Eloquenza, la base di ogni cosa, ma quello a cui tutti possono arrivare, bastando un poco di memoria congiunta colla fatica, e siccome le sole notizie grammaticali fanno un Grammatico, e non un Oratore, così la Scienza sola de' fatti, e delle epoche forma una buona tavola, od un indice, non già un vero Storico. Chi avesse in mente i nudi fatti della Storia senza sapersene utilmente servire negli Studj morali, e politici, sarebbe nello stesso caso di un Fisico, che conoscesse il Sistema della Natura senza aver l'abilità di trarne utilità alcuna, o di dedurne qualche giovevole verità. Quando per altro non si tratta soltanto di caricarsene la [95] memoria, ma di accertarsi della verità, o falsità loro per mezzo della Critica, non bastano allora la memoria, e la fatica, ma si ricerca pure un giusto raziocinio, un fino discernimento, e che lo Scrittore abbia in mente un quanto più ampio, e fedel ritratto, che si possa di quel secolo, di cui prende a schiarir l'Istoria. Questo è lo stersso, come cercar d'intendere una lingua, e di saperne la grammatica, di cui scarsi vocaboli, ed in diverso significato presso varj Autori dispersi si trovino. Ma di ciò parleremo nel seguente Capo più diffusamente.

Sono pertanto i fatti, per ripigliar l'interrotto cammino, ad uno Scrittore, che la Storia universale di una Nazione dettar voglia, come i materiali alla scelta, ed alla libera disposizione di un Architetto. Lo Storico gli sceglie, gli confronta, e dalla sola scelta ne cava in grandissima parte quella utilità, che forma lo scopo di una Storia universale. Quali poi sieno i fatti, che meritino di essere prescelti, quando sia lo Storico molto oltre nello studio, o per meglio dire nella scienza di quelle Facoltà, che abbiam detto formarne il fine, non fa mestieri, che io lo venga divisando, egli saprà meglio sceglierli da per se di quello, [96] ch'io possa nella scelta indirizzarlo. Né farà pure mestieri, che gli ricordi non doversi dire tutto ciò che è vero. A che fine Svetonio, ed altri Scrittori delle vite degli Imperatori Romani contaminarono con tante laidezze la Storia? Poche parole generali sarebbero state più che sufficienti, se non fosse che la loro stessa impudenza, ed il compiacersi, che par che facciano nel descriverle, ci dà a conoscere maggiormente la dissolutezza dell'età loro. Lo stesso dicasi di quegli Storici, che parlano, o tacciono per malignità, o per qualche loro privato fine, non secondo ciò, che detta la vera utilità della Storia, del qual vizio viene accusato il Tuano da un moderno Scrittore(17).

Del resto si lagna con ragione Fontenelle, che la Storia, come ordinariamente si scrive, non ci addita i differenti costumi, modi, ed usi degli uomini, che risultano dalle opinioni della mente, e dalle passioni del cuore. Si legga, dic' egli, la Storia di Alessandro, e quella di Carlo Magno, non ci accorgeremo quasi che per li nomi, che siamo in secoli, ed in paesi molto differenti, [97] vedremo guerre, conquiste, congiure, che si fanno a un di presso allo stesso modo, ma la diversità de' costumi non è molto dimostrata, talché i Greci non sono del tutto Greci, ed i Francesi del tutto tali, e potrebbero mettersi gli uni nel luogo degli altri, che non saremmo quasi offesi dal cambiamento. Fontenelle vide il difetto, scopriamone se si può la ragione.

Questo vizio, secondo io stimo, non deriva da altro, se non dal tralasciare lo Scrittore parte di que' fatti, i quali sono necessarj per comporre una Storia universale di una Nazione in un determinato secolo, dal non essere in una parola Filosofo lo Storico. Certa cosa è, che poco diversa sarà la Storia militare (che tale può chiamarsi quella specie di Storia, di cui intende di parlare il Fontenelle) di Alessandro da quella di Carlo Magno. Ma quanto diversa non sarà la Storia universale della Grecia a' tempi di Alessandro da quella della Francia a' tempi di Carlo Magno? Una breve descrizione dello stato delle Scienze, e delle Arti nella Grecia a' tempi di Alessandro, confrontandolo collo stato di quelle in Francia nel secolo di Carlo Magno, un paragone della dottrina di quegli illustri bisognosi, come gli chiamò [98] taluno, che seguivano il campo del Principe Macedone con quella de' Monaci del secolo VIII.; ch'essi doveano unicamente, ed interamente alla santità della Religione, avrebbe bastato a farne veder la differenza. Che anzi senza uscire dalle persone sole di Alessandro, e di Carlo Magno uno Storico assennato potrebbe dare a divedere la diversità grandissima della coltura de' tempi in cui ritrovossi ciascheduno di essi. Il buon gusto di Alessandro nella Pittura, e nella Scultura, e quantunque a giudizio di Orazio(18) non eguale nella Poesia, il famoso uso, a cui destinò quella preziosa cassetta ritrovata tra le spoglie di Dario, la scienza del suo Maestro Aristotile, che traluce in molti suoi detti raccolti da Bacone(19), e quella lettera a questo medesimo suo Maestro conservataci da Gellio, da cui si raccoglie, che desiderava di primeggiare non meno coll'ingegno, che colla forza, e colle [99] armi(20), tutto questo, dico, ben dà a divedere quanto diversi fossero i suoi tempi da quelli di Carlo, per rispetto al sapere del quale, quantunque venga decantato da' suoi contemporanei Cronisti per restitutor delle lettere, arde pur tuttavia quistione tra gli eruditi se sapesse scrivere il suo nome.

Si dee pure osservare, che la più esatta conoscenza, che aver si possa, sia d'un uomo, sia d'una Nazione, e per conseguente l'utilità, che ricavar si può e per la Morale, e per la Politica, non dipende da' soli fatti strepitosi, ma da certe piccole notizie, che vengono per lo più disprezzate dagli Storici non Filosofi. Dicesi pertanto a buona ragione, che gli anecdoti sono le spie secrete della Storia. Ed in fatti in qual altra maniera, per esempio, si può meglio conoscere il genio marziale di Giulio II., che da quella sua risposta data a Michel'Angelo conservataci dal Vasari(21) ? Lavorava il Buonarroti attorno ad una Statua rappresentante questo Pontefice. Venne Giulio a vedere il lavoro, e chiedendogli l'Artefice che cosa desiderava, che gli ponesse in mano, se un [100] libro per avventura, rispose egli con viso tremendo: mettivi la spada, ch' io non so lettere. Quanto di spiriti guerrieri fa d'uopo, ch'egli nutrisse in seno, non essendosi potuto trattenere di darli a vedere così palesemente in una occasione, in cui non aveva alcun motivo di dimostrarli! Pieno è Plutarco (Storico, che per conoscere l'uomo non ha forse pari) di cotesti minuti racconti, e se fosse stato così buon Critico com'era Filosofo, non si potrebbe desiderare niente di più da lui.

Gli Storici volgari sono quelli, che temono di abbassarsi. Ciò che contribuisce a far conoscere meglio l'umana natura, ed alla pubblica felicità non è mai piccolo. Ne recherò un esempio tolto da uno Storico scelto, e dotato di buon gusto e di fino discernimento quanto altri mai, e sopra cui per questo la taccia di spirito debole non può cadere in modo nessuno il Signor Fontenelle. Egli pertanto in uno de' suoi Elogj, ne' quali non si restringe già alle sole doti d'ingegno degli Accademici, di cui favella, ma si fa pure a descrivere le belle qualità loro, che l'animo riguardano, parlando delle virtù sociali d'un tale Accademico(22), [101] viene a dire, che il ben pubblico, l'ordine, o piuttosto tutti i diversi stabilimenti particolari di ordini, che la società ricerca, erano per esso oggetti di una viva, e dilicata passione, e per recarne una prova (avvisando però prima essere così rara questa sorte di passione, che forse è pericolosa cosa esporla al pubblico) soggiugne, che la portava egli a tal segno, che quando passava sulla strada del Ponte nuovo di Parigi ne prendeva le estremità meno frequentate, affinché il mezzo, che è sempre più frequentato, non divenisse troppo presto pendente, e conchiude poi il savio Scrittore con queste parole: una così piccola attenzione si nobilitava per lo suo principio; e quanto non sarebbe da desiderarsi, che il pubblico bene fosse sempre amato con tanta superstizione?

Nella Storia universale poi di una Nazione ognun vede, che questi anecdoti devono appartenere a persone, di cui importi alla somma degli affari di conoscere il carattere, congiungendosi in questo modo alla utilità morale l'utilità politica. Così nella Storia dell'antica Italia dovranno cadere [102] sopra un Scipione, un Camillo, un Cesare, un Catone, un Cicerone, e tanti altri Eroi, ed anche sopra un Appio Decemviro, un Catilina, un Clodio, un Antonio, ed altri celebri scellerati, non importando meno conoscere la natura degli uomini nel bene, che nel male.

Questa è la utilità, che dalla scelta dei fatti proviene, principalmente quando vengono ajutati da alcune brevi riflessioni, che cadono in acconcio, e di queste appunto dovrei ora ragionare per dimostrarne l'utilità, ma mi resta ancora da osservare qualche cosa in ordine alla scelta de' fatti. Ed è primieramente, che siccome non dipende sempre dalla perizia dello Scrittore il fare, che una Storia riesca perfetta, e compita, o pure resti imperfetta, potendo ciò provenire dalla mancanza delle memorie di quella età, di cui prende uno a stendere la Storia, come abbiamo veduto a suo luogo opportuno; così lo scegliere fatti in quantità, da cui possa utilità derivarne, non dipende interamenter dallo Storico. I Cronisti a cagion d'esempio di certi secoli più tenebrosi de' tempi di mezzo, essendo per lo più Monaci, ci tramandarono soltanto ciò, che direttamente ad essi apparteneva, e se [103] d'altro diedero qualche cenno, non è per intenzione che avessero d'instruirne i posteri, ma perché indirettamente alla Storia loro potea spettare. Che anzi, come se ne lagna chi ben lo conosceva per prova, cioè il celebre Muratori(23), tenevano per rispetto alla loro Storia medesima più accurato registro di ciò, che riguardava i temporali interessi, che delle azioni degli Abati, e della Storia dell'Ordine.

Un'altra cosa mi resta pure da aggiugnere innanzi di venire alla utilità delle riflessioni, ed è, che nella Storia universale di una Nazione non solo hanno luogo tutti gli avvenimenti, da cui utilità si può ricavare per la Morale, e per la Politica seguiti in quella Nazione medesima, ma v'ha pur luogo tutta quella parte d'Istoria delle altre Nazioni, che in qualche modo serve a dar maggior contezza di quel determinato popolo, di cui si scrive la Storia. La connessione degli affari fa che resta impossibile trattare la Storia di una Nazione sola esattamente divisa, ed isolata dalla Storia d'ogni altra Nazione. L'arte dello Storico consiste nel toccar più leggermente, ed isfumare per [104] dir così gli avvenimenti stranieri a misura che sono meno importanti, e che meno alla principale Storia appartengono. Questa è la regola sola, che circa alle digressioni dar si possa, intorno a cui tanto si scrisse, e quando lo Storico conosca bene il dover suo, questa è sufficiente: perciocché non potedosi fissar regole precise in tali cose, lasciar si vogliono alla prudenza, ed al discernimento di lui. A cagion d'esempio nella Storia dell'antica Italia, innanzi di narrare i maneggi, e le pratiche de' Romani con una straniera Nazione, e le guerre, che contro ad essa fecero, tanto più quando l'abbiano in fine interamente domata, come i Cartaginesi, i Greci, gli Egizj, i Galli ec., venendosi a confondere la Storia di queste Nazioni colla Storia d'Italia, stimerei buona cosa il premetter un succinto ragguaglio della Storia di queste Nazioni, una descrizione dello stato di allora dei proprj affari, del governo, della coltura, del clima, de' costumi, del fisico, e del morale di que' paesi, rendendo una tal notizia più chiari, e più intelligibili i seguenti successi, i quali fanno parte della Storia d'Italia. Né mancherebbe alla utilità di essere congiunto il diletto, non potendo queste digressioni riuscire se non [105] piacevoli al Lettore, quasi nuove, ed inaspettate scene. Tanto mi restava ancora da soggiugnere intorno alla scelta de' fatti; veniamo ora finalmente alle riflessioni.

 

§. VI. Delle riflessioni.

Gran quistione arde tra gli Scrittori dell'Arte Storica per riguardo alle riflessioni. Sono tutti d'accordo, quantunque per lo più non si spieghino troppo chiaramente, essere necessaria la scelta de' fatti, non doversi narrare ogni cosa, che seguita sia. Dice Cicerone, che la Storia si aggira intorno a cose grandi, e degne di memoria. Vero è che quali poi sieno queste cose degne di memoria, non avendo egli osservato i diversi generi di Storia, ed i varj fini loro, non lo accenna. La cosa era troppo manifesta, non v'è adunque per questo riguardo alcuna quistione. Ma le riflessioni non pochi le vogliono del tutto sbandire, dicono doversi questo lasciar far dal Lettore; essere una tal pratica confondere le Facoltà; appartenersi al Filosofo morale, od al Politico il far le riflessioni sopra la Storia universale di una [106] Nazione; essere officio dello Storico il presentare soltanto que' fatti, che degni ne sono.

Ma lasciando stare in primo luogo, esser cosa quasi affatto impossibile, che non isfugga qualche parola o di biasimo, o di lode, o di approvazione, o di disapprovazione dalla penna dello Storico, si vuol considerare, che, per iscegliere i fatti prudentemente, è forza, ch'egli gli abbia attentamente considerati. Che danno adunque v' ha, ch'esprima quelle osservazioni sue, le quali, è necessario che faccia? Se il Leggitore è di tanta perspicacia fornito, che dal solo leggere il fatto, di cui stimò lo Storico di tener registro, argomenta tosto il fine, che a ciò far l'abbia mosso, non può lamentarsi di trovar verificata la sua congettura. Ma se, o per tardità dell'ingegno suo, o per essere molto sottile, e rimoto il fine, per cui giudicò lo Storico di dover far conserva di un determinato avvenimento, non ne potrà venire in cognizione, a niente servirà l'averlo descritto, e sarà forse egli ingiustamente ripreso per averlo stimato degno di menzione.

Le Facoltà poi in questo modo non si confondono, ma si ajutano scambievolmente, eccetto che per imperizia dell'Autore in luogo di ajutarsi una oscurasse l'altra. Sieno [107] pure in grande quantità le riflessioni. Diventerà una tale Istoria Istoria mista, ed anche mista a tal segno che chiamar si dovrà piuttosto Trattato filosofico, o politico, che Storia. È pur questo un modo di trattar la Storia, quantunque a giudizio del Signor D'Alembert(24) sia stato ignoto agli antichi. Né voglio lasciar di notare, che non solamente a' fatti politici, a cui fin, ora pare, che l'abbino limitato i moderni, ma alla Storia di ogni altro genere di azioni umane, che abbiano relazione a qualche facoltà, può adattarsi una tale maniera di scrivere la Storia.

Vero è, che se dopo il rinascimento delle Lettere il Segretario Fiorentino, il Paruta, ed ultimamente il Montesquieu hanno aggiunto un nuovo metodo di scrivere la Storia utile agli studj politici; per attestato del medesimo Signor D'Alembert(25) hanno i moderni abbandonato quella maniera di trattar la Storia, che per mezzo di una prudente scelta de' fatti, e di brevi riflessioni recava non piccolo vantaggio alla Morale, come usavano gli antichi. Le Storie sono ora o [107] nudi registri, o Trattati di Politica. Hanno certamente i loro vantaggi questi due modi di trattar la Storia, ma non si dovea tralasciare la strada di mezzo, come quella che congiunge gli avvantaggi de' due altri modi, e pare che riuscir debba di un uso più comune, essendo gli altri due, uno troppo arido e digiuno, troppo sublime e filosofico l'altro, oltre ad esservi da temer non poco, che lo Scrittore spacci sogni, ed immaginazioni in luogo di filosofiche verità, come osservò il medesimo Signor D'Alembert(26).

Trattando ora particolarmente di questo metodo di scrivere la Storia, per cui s'inseriscono con riserba le riflessioni (che in questo modo stimo doversi scrivere la Storia universale di una Nazione) avanti di tutto è d'uopo premettere, che queste riflessioni o comprendono una verità astratta appartenente alla teoria delle Facoltà, ad utile di cui si scrive la Storia, o, per parlar diversamente, alla Storia intrinseca di quelle scienze medesime, e di queste riflessioni ragioneremo al presente; o sono riflessioni, per mezzo delle quali dalla narrazione di un fatto si ricava la verità del medesimo, oppure [109] si raccolgono altri fatti, ed essendo questa una specie di Critica, ne tratteremo nel Capo seguente(27).

Ciò posto certa cosa è, che nella Storia in se, cioè in quello, che è seguito, vi furono le cagioni di ciò, che è seguito; così nella Storia di un determinato popolo non solo le sue conquiste, ma le cagioni pure delle sue conquiste, vale a dire que' fatti, che lo resero conquistatore, così non solo i suoi progressi nelle Scienze, ma ancora que' fatti, che le promossero, e le fecero fiorire, non solo la sua rovina, ma que' fatti, che la cagionarono, onde, se pure questi fatti, che tali cose produssero ci possono esser noti, ne segue che l'abilità dello Storico consiste, non nel fare lughe dispute, e profondarsi in sottili e lontane speculazioni, ma nel saper discernere tra la moltitudine degli avvenimenti que' tali, che veramente diedero motivo alle principali rivoluzioni, il che certamente richiede testa ampia, e filosofica, vista acuta, ed estesa, sottil discernimento, per non prendere per cagioni gli effetti collaterali, come gli chiama il Signor Hume, abilità in fine per [110] confrontarli tra loro, e presentarli sotto un tal punto di vista, da cui segua naturalmente senza discussione alcuna quella riflessione circa alla Morale ed al conoscimento dell'uomo, o circa alla Scienza della Legislazione e del Governo, la qual desidera, che venga fatta dal Lettore. In somma essendo ogni instituto, legge, azione, costume, o buono o malvagio, o utile, o dannoso al pubblico, ed essendo utilissimo il sapere le ragioni, in ispecie de' più notabili, per cui fu tale, conoscendosi così ciò, che è giusto e buono, e ciò, che è utile, che è il fine della Scienza del Diritto di Natura, ossia Morale, e della Politica, è necessario, che lo Storico lo rappresenti tale qual fu, e rechi in breve le ragioni (il che forma le riflessioni) per cui tale lo crede. Il che tutto ove loStorico sappia fra scelta prudente de' fatti, procacciarsi tutte le possibili necessarie notizie, ed abbia già dato seria, ed attenta opera a quelle Facoltà, le quali, come abbiam veduto, costituiscono il fine di una Storia universale, gli riuscirà non solo facile, ma piacevole eziandio.

Fa poi d'uopo riflettere, che gli uomini grandi, cioè coloro, che sono più oltre nelle Scienze morali, e politiche, come bene [111] osservò il Montaigne(28), vedono, nela stessa narrazione molte cose, che gli altri non vedono. A proporzion della scienza si fanno sul medesimo fatto maggior quantità di riflessioni, si vedono le cause, per cui seguirono, i danni, e le utilità anche rimote, che recarono, le connessioni, e relazioni, ch'ebbero con altri movimenti, fatti, leggi, costumi, guerre, e simili, tutta la virtù, o malizia, che ne formano l'anima; e perciò dice Montaigne: «Io ho letto in Tito Livio cento cose, che un altro non vi avrà letto, Plutarco ne avrà letto cento oltre a quello, ch'io vi ho saputo leggere, e per avventura oltre a ciò, che vi avrà messo l'Autore». Il pregio adunque di uno Storico Filosofo non è tanto di aver vedute molte cose, come di averle vedute bene, voglio dire molte facce della cosa medesima. Bastò poca Geometría ben maneggiata al Galilei per fare le sue meravigliose scoperte, poche parole a Dante, ed a Virgilio per presentarci una viva descrizione, pochi ordigni ad un abile Macchinista, pochi dati ben accertati ad un Critico occulato; basteranno adunque pure pochi fatti ben [112] notomizzati ad uno Storico valente. Ma qui appunto gli conviene usare grande attenzione per non lasciarsi ingannare dall'indole propria, e da' propri studj, ed affezioni. Si potrebbero recare mille esempj di errori, ed inganni degli Storici derivati da questa cagione. Il Signor Genovesi(29) dice, che Plutarco era troppo pieno di eroismo, onde le sue vite son sospette di bontà. Tacito era troppo accanito, e quindi è, che i caratteri, ch'egli dipinge de' malvagi sono più del dovere caricati. A Montaigne è sospetta la probità del Guicciardini, dando egli sempre cattivi fini, od interessati a quelle azioni, che sono più belle e virtuose in apparenza.

Non si dee tralasciare a questo proposito di considerare esservi Storici, i quali hanno il difetto di certi Fisici di corta veduta, ed è, che siccome questi per ispiegare un fenomeno della Natura riccorrono tosto a que' Genj, cui i Peripatetici aveano imposto il carico di muovere i corpi celesti, ed all'azione diretta del Sommo Essere sopra quella natural cosa, senza curarsi d'indagar le cagioni seconde, che furono da lui poste in [113] opera: così essi danno subito per cagione di quegli effetti politici, e morali, de' quali o per ignoranza della Storia, ovvero di quelle Facoltà, a profitto di cui la Storia si scrive, non ne sanno i motivi, la sorte, che è come dire il voler d'Iddio, quantunque insegni la Natura, che ove si mira un ordine di azioni proporzionato all'effetto da loro prodotto, ne dobbiamo riputar per artefice l'accorgimento.

Vero è però, che ve ne sono altri, i quali sanno troppo bene far il mestier dell'uomo, cioè cader nel vizio contrario, ed è, che siccome vi sono pure Filosofi, i quali perché spiegano, o credono come Lucrezio di spiegare certi naturali fenomeni, che dagli ignoranti direttamente attribuisconsi alla Divinità, pretendono escluderne del tutto la divina potenza: così vi sono Storici, che d'ogni avvenimento, per casual che siasi, e straordinario, ne vogliono assegnare la sua natural ragione, e bandire, per dir così, il voler divino dal Mondo morale, come quelli il bandiscono dal fisico. Ma il fatto sta, che giunto ch'altri è a quella forza di attrazione, a quel certo elettricismo universale, il quale colle sue forze opposte, e concordi congiugne i corpi, mantiene nelle loro [114] orbite i Pianeti, anima l'immensa macchina del Mondo, bisogna riconoscere nelle cose corporee la potenza immediata di Dio. Ed è cosa sicura nella Storia, che l'estremità, l'ultima radice, per ispiegarmi così, de' fatti più strepitosi, provien sempre dalla immediata volontà, o direzione del Supremo Reggitore, senza alcuna cagion feconda frapposta. Per non dir nulla di que' fatti,che sono interamente guidati da lui, e chiamar si potrebbero i prodigj del Mondo morale, tanto chiaramente vi domina la mano divina.

Poco importerebbe se questi errori si fermassero unicamente nell'intelletto, ma possono portare in pratica non piccoli danni. Il primo nutrendo l'infingardaggine d'indagar le ragioni degli accrescimenti, e decadenza delle Nazioni, può far trascurar tanti mezzi di farle fiorire, e privarci del conoscimento di tante cose da sfuggirsi, che le potrebbono mandare in rovina. Il secondo facendo credere umanamente possibili per umane rivoluzioni certi avvenimenti, che succedere non potrebbero, se non venissero direttamente condotti dalla mano divina, può recare grandissimo dano alla Religione, ed a' costumi.

[115] Il Signor Montesquieu(30) per esempio dice non doversi far le meraviglie, se gli operatori di una scelleratezza solenne vengono tardi o tosto a terminar male, e pare, che biasimar voglia quasi troppo religiosi quegli Scrittori, che una tal cosa alla divina vendetta attribuiscono. Pretende egli di addurne una ragion naturale, ed è, che offendendo, e danneggiando costoro con un solo colpo un gran numero di persone, è facil cosa, che alcuni fra questi faccian loro pagare il fio del commesso delitto. Ma si vuole osservare, che quegli accidenti, per cui si venne a fissare una tal massima, non ebbero il più delle volte alcuna relazione colle scelleratezze commesse. Senzaché, se vera fosse la ragione addotta dal Signor Montesquieu, non dovrebbero meno essere esposti ad un tal fine gli uomini grandi, che i gran ribaldi; perciocché le belle azioni de' primi offendono non poche volte il sempre maggior numero de' cattivi, la qual cosa non so, se con una sufficiente serie di fatti si possa dimostrare. Ben diversamente pensò [116] a questo proposito il Signor Genovesi(31), quantunque chiamar non si possa spirito debole, e superstizioso in modo nessuno. Per recare adunque le molte parole in una bisogna ricorrere al voler divino nelle cose fisiche, ed al caso, che è tanto quanto dire lo stesso suo voler diretto nelle morali, quando non si possono più veder oltre cagioni naturali. Il non giungervi è vergognoso per l'uomo, l'oltrepassarle oltraggioso alla Divinità.

Si possono poi queste naturali cagioni oltrepassare senza alcuna malvagia intenzione, vale a dire non escludendo del tutto in quel tal particolar caso dal reggimento del Mondo morale il Sommo Essere, ma frapponendo [117] tra la sua diretta influenza, e le cagioni seconde, che veramente vi sono, altre cagioni seconde ideali. Così nello investigare i motivi delle maggiori rivoluzioni nella Storia di una Nazione, si vuole non solo sfuggire la negligenza, ma anche l'andarsi troppo sottilomente immaginando cagioni di ciò, che è causale, e consiglj di ciò, che da' consiglj non è stato regolato, difetto di cui viene accusato Tacito, e che proviene appunto da troppo sottile ingegno. Conchiudiamo pertanto questa materia coll'avvertimento del sommo Filosofo Bacone da Verulamio, il quale dice(32) essere ugualmente contrario alla buona Filosofia il ricercar cagioni dei principj delle cose, che il non proccurar di ritrovarle nelle cose subalterne, e che da altre più universali derivano.

In quanto alla Storia dell'antica Italia le cagioni della grandezza, e della decadenza de' Romani (giacché de' vari popoli, i quali anticamente abitarono questa parte di Europa Storia compita abbiamo soltanto de' Romani, pezzi di Storia interrotti, e barlumi delle altre Nazioni) già furono da diversi Scrittori ex professo investigate, fra quali [118] primeggiano il Segretario Fiorentino(33), ed il Paruta(34) tanto lodato dal Foscarini(35) tra' nostri; tra Francesi il mentovato Signor Montesquieu, oltre ad altri non pochi, che ne toccarono alla sfuggita in opere politiche o filosofiche. Si possono trarre buonissimi lumi da tutti questi Scrittori di vario genio di diversi studj, inclinazioni, paesi, e che per diversi fini si fecero a filosofare sopra la Storia de' Romani, guardando le cose sotto diversi aspetti.

E per discendere al particolare si vuol considerare specialmente la Storia della Legislazione, e la Storia militare de' Romani; la prima perché di sua natura è degna di considerazione; la seconda si dee osservare particolarmente nella Storia de' Romani come abbiamo veduto sopra. Ora per rispetto alla Legislazione non mancano Scrittori, i quali ne hanno tessuto la Storia, come fra gli altri con non poca lode il Gravina. Si hanno dunque facilmente i fatti. In quanto [119] poi allo spirito molti lumi ci può somministrare il Montesquieu, che si trovano non solo nella sua Operetta sulla grandezza, e sulla decadenza de' Romani, ma anche dispersi nella sua Opera maggiore, servendosene però con riserbo, massimamente quando si lascia trasportare da quelle sue strane immaginazioni, per cui fondò in gran parte sul falso il suo ingegnoso, e dotto Libro, e che gli fecero scrivere talvolta il Romanzo, non la Storia del Mondo morale, come quell'altro suo famoso nazionale fece del Fisico. Del resto uno de' più eruditi, e giudiciosi pezzi è quello, in cui tratta delle successioni presso i Romani(36) ne' primi tempi loro. Di questo adunque a mio senno se ne potrebbe utilmente servire chi prendesse a scrivere una Storia universale dell'antica Italia.

Siccome dal Gravina si può ricavare il materiale della Storia della Legislazione, lo spirito delle leggi in parte dal Montesquieu, così dal Lipsio, e da molti altri antiquarj si può prendere il materiale della Storia militare de' Romani, lo spirito da molti moderni, come dal Folard (però anche con [120] cautela, segnatamente quando vuol trovare presso i Romani il Sistema suo della colonna, ch'essi non avevano) dal Guischart, come anche dalla sua bella prefazione di Andrea Palladio a' Commetarj di Cesare, per citare un più antico nostro Italiano, e da varie delle Opere militari del Conte Algarotti, non lasciando intanto di ricorrere a Polibio, a Cesare, ed agli altri Scrittori originali.

Sono questi buonissimi ajuti per chi voglia intraprendere l'accennata Storia universale dell'antica Italia. Si dee soltanto badar bene di non lasciarsi trasportare dal particolar Sistema di un determinato Scrittore, né fidarsi interamente ad essi, servendosene soltanto, per dir così, come di guide, e per presentarci sotto diversi aspetti i fatti, che compongono quella Storia. Ed in vero ognun sa quanto diverse sieno le opinioni circa alla grandezza de' Romani. Chi ne attribuisce la cagione alla situazione locale; chi allo essere i medesimi venuti in tempo, in cui già erano state fatte le esperienze, che compor doveano la Scienza di conquistare il Mondo; chi alla serie de' gran personaggi, che nella prima loro età per buono spazio di tempo gli governarono; chi all'aver essi preso dalle debellate Nazioni quegli instituti, leggi,[121] costumi, ed armi medesime, che contribuir potevano a renderli più potenti; e chi all'aver essi dimostrato sempre di voler fare piuttosto concittadine, che suddite le vinte Nazioni, ed all'aver proccurato d'interessarle nella propria grandezza. Né meno varie sono le opinioni intorno alla decadenza loro. Chi la deriva dalla eccessiva disuguaglianza delle facolta; chi dal lusso; chi dalle conquiste dell'Asia; e chi in genere, come Floro, dalla smoderata ampiezza degli Stati conquistati(37), cui aggiugne il Signor Hume una forma mal ideata di Governo(38); e chi infine come il Signor Genovesi(39) dall'esser cessate le guerre straniere, e dalla mancanza di commercio, e di altre Arti di pace, con cui si occupasse quel Popolo guerriero, il quale facendo poi la guerra tra se aperse l'adito a' Barbari. Possono alcune di queste cagioni aver contribuito sia [122] alla grandezza, sia alla rovina loro: forse vi contribuirono tutte in parte; ma questa stessa diversità di pareri dimostra quanto mal sicuro partito sarebbe l'abbracciare un Sistema particolare di un Autore, e adottarlo ciecamente in ogni cosa.

Seguendo adunque passo passo il filo degli avvenimenti negli Scrittori originali, e congiungendovi le riflessioni fattevi sopra da questi moderni, si verrà in cognizione, per quanto comportar lo possa una età così rimota, di quelle cagioni, per cui salirono i Romani a tanta possanza e grandezza: che al certo di non poca utilità dovrebbe essere lo scoprire quelle secrete macchine, che resero una Repubblica conquistatrice, per mezzo di un Senato, che parve a quel Greco un concistoro di Monarchi, e di soldati, i quali non conoscevano altr'idolo, che l'amor della Patria.

 

§. VII. De' diversi vantaggi della Storia universale di diversi tempi, e paesi.

Quì il luogo stesso mi ammonisce di dover innanzi di por fine a questo Capo [123] dire appunto qualche cosa intorno alla diversa utilità, che può derivare dalle diverse Storie universali di diverse Nazioni, utilità, che è diversa, secondo che diversi sono i secoli, ed i paesi, in cui quelle fiorirono.

In ordine adunque a' tempi la Storia universale o è di una Nazione, la quale giunta sia al suo colmo, ed alla sua rovina già da lungo tempo, e questa è quella, che chiamasi Storia antica. Tale è la Storia dell'antica Italia, la Storia de' Greci, la Storia de' Persiani, degli Egizj, de' Siri ec. Od è di una Nazione, che non notabile spazio di tempo fa sia giunta alla sua rovina, come sarebbe la Storia dell'Impero d'Oriente, e di alcun'altra Nazione d'Europa. Od è d'una Nazione la quale in qualsivoglia grado si trovi sia d'accrescimento, sia di tutta sua potenza, sia di decadenza, e debolezza, ancora sussiste, e queste due maniere di Storie universali cadono sotto quella, che dicesi Storia moderna.

In quanto poi a' paesi, o è Storia del proprio paese, o è Storia straniera; prendo soltanto i sommi capi, essendovi Storie più e meno straniere, per dir così, a misura che più si allontanano o meno i nostri da' loro Paesi.

Queste sono le diverse specie di Storie [124] universali; vediamone in breve i diversi vantaggi. Ma prima di tutto si vuol riflettere, che oltre alla utilità generale, che da ogni Storia d'ogni Nazione ne viene alla Morale, ed alla Scienza del civil Governo, altra pure può essere l'utilità della Storia, ed è l'utilità che deriva dalla scienza de' fatti in se, e la notizia che può dare la Storia delle ragioni de' correnti affari, fondandosi molte cognizioni, e molti diritti di persone, di famiglie, e di popoli sopra certi fatti antichi, o serie di fatti; tuttocché, come bene avvertì il Signor Genovesi(40), si voglia riguardare non tanto al fatto, quanto alla ragione del fatto, perché non è il fatto, che constituisce un diritto, ma la ragion del fatto. Dal che ne segue essere di prima importanza la verità de' fatti, quando da quelli, o dalla ragion di quelli, si vuol dedurre la notizia di un diritto, sia nella Storia antica, sia nella Storia moderna.

Non importa poi più che tanto la verità de' fatti, e basta, che verisimili paressero agli Storici di quella età, e di quel paese medesimo, cui appartengono, qualora sia nell'antica Storia, sia nella moderna non si [125] cerca di venire in cognizione di alcun diritto, ma di scoprir soltanto il carattere di una Nazione. Ora siccome poco per lo più importa il sapere i diritti delle antiche, e straniere Nazioni, se non a misura che hanno maggiore, o minor relazione colla Storia della Nazione nostra, e del nostro paese, di cui assaissimo importa saperne i diritti, ne segue, che per lo primo rispetto maggiore è l'utilità della Storia della nostra età, e del nostro paese, che della Storia straniera, ed antica. E per questo rispetto la Storia della Patria fu giudicata più d'ogni altra necessaria di aver luogo negli studj di uno, che faccia pensiero di rendersi capace di amministrar bene la Repubblica dal famoso Cancellier Dagusseau(41).

Ma d'altra parte, dovendoci premere maggiormente di conoscere il carattere delle antiche, e straniere Nazioni, come ora farò vedere in poche parole, maggiore è l'uso, che si fa de' fatti della seconda specie in tali generi di Storia, e per questa parte maggiore è pure l'utilità, che da queste Storie deriva.

[126] Abbiamo detto sopra, ove s'è ragionato della utilità morale in genere della Storia universale, che l'uomo non iscopre mai così bene la sua natura, se non nella unione cogli altri uomini, ne' varj siti in cui è posto, ne' varj interessi, e relazioni, ch'egli ha con quelli (42). La situazione degli uomini della nostra Nazione, e secolo, le varie relazioni, ed interessi, che hanno cogli altri uomini, non ci fanno bastantemente conoscere l'uomo. Hanno di comune tra loro le Storie di diversi popoli, quello che hanno di comune le diverse persone, gli stessi affetti, le stesse passioni, lo stesso intendimento, e ragione, la stessa forma del corpo; ma siccome tutte queste cose negli uomini singolari vengono e dalla Natura, e dalla educazione, e dalle circostanze variamente modificate, così succede nelle Nazioni varie, e ne' varj secoli di una Nazione medesima. Bisogna pertanto veder la natura umana quanto più ampiamente si può. Bisogna vederla in ogni clima, ed in ogni secolo, per saper fin dove possa giunger l'uomo sia in bene, sia in male. Bisogna veder gli uomini sotto le severe leggi di Sparta, in [127] seno alle bell'Arti, ed alla eleganza di Atene, animati dall'amor della Patria nella Romana Repubblica, governati come una famiglia da' Monarchi di Egitto ne' tempi antichi; e per riguardo alle straniere Nazioni vederli stupidi nell'America Meridionale, facili ad esser condotti come pecore, pieni di generosità e di ardire nella Settentrionale, agitati dal più focoso entusiasmo che dar si possa tra gli Arabi, selvaggi e feroci nel cuor dell'Africa, sotto il duro giogo del dispotismo Ottomano, regolati dalle mansuete, e pacifiche leggi della China, erranti come i Tartari, crudeli come i Giapponesi, addormentati come i Lapponi.

Si vuol poi notare in ordine alla Storia antica di una Nazione, che abbia fiorito sotto lo stesso cielo di una moderna, che non essendovi da combattere una diversità dirò così di natura, si può sperare di ridurre gli uomini, aggiungendovi gli stessi instituti, la stessa educazione, del tutto simili a quegli antichi, e d'altra parte gli stessi inconvenienti possono recare gli stessi mali tra' medesimi; onde la Storia antica di quel Paese può dare utilissime lezioni per conoscere l'indole, e regger bene gli uomini, che lo abitano a' nostri tempi.

[128] Per questo riflesso può esser l'Istoria della Italia antica di utilità grandissima agli Italiani moderni; quantunque tralasciar non si debba, ch'essendosi alquanto cangiato il clima, come per infiniti luoghi degli antichi Scrittori si potrebbe dimostrare, è questa forse una delle cagioni del rassomigliarsi l'Italia moderna, in ispecie nelle bell'Arti, e nella lingua più dolce della Latina, tuttocché nata dal mescolamento di quella con altre più ruvide e dure, piuttosto all'antica Grecia, che all'Italia antica. Comunque siasi di questa mia idea, ch'io non pretendo già di sostenere a spada tratta, e che quantunque vera poi fosse, non ci potremmo perciò lagnare del cangiamento, riuscirà sempre per molti altri capi, ed anche per questo una Storia dell'antica Italia utilissima principalmente per gli Italiani; essendo un error filosofico, come dice il Signor Genovesi(43), il credersi, che il fisico de' paesi cambii tanto da divenir altro coll'andar del tempo.

Questi sono i vantaggi di una Storia antica d'Italia, Storia che non abbiamo per anco, e possiamo soltanto desiderare nella luce di questo secolo. Per riguardo alla [129] Storia universale della moderna Italia pare che v'abbia sufficientemente proveduto il celebre Muratori cogli Annali congiunti colle Dissertazioni sue; se non che, il principal vantaggio, che da questa deriva, essendo la notizia de' diritti, i quali sorgono da' fatti, e la spiegazione di tanti fenomeni politici, e morali, i quali si veggono al presente, alla qual giugnere mal si potrebbe senza osservare attentamente i progressi, per li quali passando, cangiarono a poco a poco natura le cose, restandovi talvolta i nudi nomi, pare che, per esser l'Italia in diversi Governi divisa, si richiegga una Storia particolare di ciascuno Stato, e che le fatiche dell'Annalista Italiano servir debbano come di un comune erario agli amatori delle Storie universali di ciascun particolar Paese.

Non posso a questo proposito innanzi di lasciar questa materia fare a meno di palesare un mio desiderio, che l'amor della Patria dovrebbe destare in seno ad ogni buon cittadino, ed è, che mancando per anco al Piemonte una Storia universale, che degna sia di un tal nome, si ritrovasse in questa nostra età, in cui sono giunte presso di noi in così bello, e florido stato le Lettere, alcuna dotta, ed elegante penna, che si [130] accingesse ad una impresa sì grande, e sì gloriosa per la nostra Nazione. E non è questa felice parte d'Italia la sede di quella Regal Famiglia, che da tanto tempo Italia tutta onora, ed illustra, o che fosse Italiana d'origine, come pretendono alcuni(44), o pure che da molti secoli diventata lo sia? Non fu forse questo Paese fecondissimo in uomini grandi per le militari, e politiche virtù? Non seguirono in questo tanti avvenimenti degni, non solo di essere con più felice stile, di quello che lo sieno stato per lo dianzi, tramandati a' posteri, ma di esser pure con occhio filosofico notomizzati da chi brama di rendersi utile alla Patria? Pare adunque, che il voto d'ogni buon cittadino dovrebb'essere, che sorgesse qualche Scrittore capace di condur a fine un'Opera sì grande, il quale facesse sì, che dovessero, anche in questa parte, gli stranieri ammirare, e celebrar l'ingegno Piemontese, come forzati sono a rispettarne le armi, ed il consiglio. Già hanno molti Scrittori preparati i materiali per una tal'Opera, fra' quali merita particolar menzione per la quantità delle [131] Carte esaminate, e degli Archivj rivoltati, ed anche per la Critica Monsignor Della Chiesa; e, per parlare di un più moderno Scrittore, già ha il Signor Terraneo colle sue erudite fatiche intorno alla più rimota, ed oscura parte della Storia nostra invitato altri a profittarsene; se non che danno grandissimo ha pur questa dovuto soffrire, per aver la morte troncata l'Opera di questo dotto Letterato, che chiamar poteasi il Dionigi d'Alicarnasso(45) delle Antichità Piemontesi.



Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice

Note al Capitolo III

(1) Genovesi Logic. Lib. II. Cap. V. §. VI.

(2) «A la lecture des Histoires…, j'ay accoûtumé de considérer qui en sont les Ecrivains: Si ce sont personnes, qui ne fassent autre profession que de lettres, j'en apprens principalement le stile, et le langage; si ce sont Médecins je les croy plus volontiers en ce qu'ils nous disent de la température de l'air, de la santé, et complexion des Princes, des blessures et maladies; si Juriscunsultes, il en faut prendre les controverses des droicts, des loix, l'établissement des polices, et choses pareilles; si Théologiens, les affaires de l'Eglise, censures Ecclésiastiques, dispences, et mariages; si Courtisans, les moeurs, et les cérémonies; si gens de guerre, ce qui est de leur charge, et principalement les déductions des exploits où ils se sont trouvés en personne; si Ambassadeur, les menées, intélligences, et pratiques, et maniere de les conduire». Montaigne Essais Liv. I. Chap. XVII.

(3) «Les séules bonnes Histoires sont celles, qui ont ésté escrites par ceux même, qui commandoient aux affaires, qui estoient participans à les conduire, ou au moins, qui ont eu la fortune d'en conduire d'autres de même sorte… Que peut-on esperer d'un Médecin traitant de la guerre, ou d'un Escolier traitant les desseins des Princes?» Montaigne Essais Liv. II. Chap. X

(4) Bacon de Aug. Scient. Lib. II. Cap. VIII. Una Società di Letterati suoi nazionali a questi nostri ultimi tempi ha condotto a fine una tal'opera.

(5) Melon Essai Politique sur le Commerce Chap. 21 pag.316. Amst. 1742.

(6) Genovesi Logic. Lib. II. Cap. II. §. IX.

(7) At longe optima hujus Tractatus ( circa diversos characteres ingeniorum) supellex, et sylva peti debet ad Historicis prudentioribus. Bac. de Aug. Scient. Lib. VII. Cap. III.

(8) Plut. in Pericle in princ.

(9) D'Alemb. Mêlanges ec. Tom. V. Réflex. sur l'Hist. pag. 491.

(10) Boswel Giornale del Viaggio di Corsica in fine.

(11) D'Alemb. loc. cit.

(12) Fontenelle Eloge de Monsieur Varignon.

(13) Bacon. de Aug. Scient. Lib. I.

(14) Bacon. loc. cit.

(15) Genovesi Logic. Lib. II. Cap. II. §. XIV.

(16) Dell'Entusiasmo delle Belle Arti. Genj, ed ingegni pag. 179. Milano 1769.

(17) «Hieronymi Lagomarsinii e S. I. Actio in Thuanum» in fine del Volume II. delle Epistole, ed Orazioni del Poggiani stampate in Roma nel 1756.

(18)

«Edicto vetuit ne quis se praeter Apellem
Pingeret, aut alius Lysippo duceret aera
Fortis Alexandri vultum simulantia; quod si
Judicium subtile videndis artibus illud
Ad libros, et ad haec Musarum dona vocares
Boeotum in crasso jurares aere natum.
»
Horat. Lib. II Ep. I. v. 239.

(19) Bacon de Aug. Scient. Lib. I.

(20) Aulus Gellius Noct. Attic. Lib. XX. Cap. IV.

(21) Vasari vita di Michelangelo tom. III.

(22) Fontenelle Eloge de Monsieur des Billetes - in fine.

(23) Murat. Annal. d'Ital. all'anno 844.

(24) D'Alemb. Mélanges tom. V. Réflex. sur l'Hist. p. 487.

(25) Idem ibid. p. 491.

(26) D'Alembert. loc. cit. pag. 487.

(27) Capo IV. §. II.

(28) Montaigne Essais Liv. I. Chap. XXV.

(29) Genov. Logic. Lib. III. Cap. IV. §. IX.

(30) Montesq. Considér. sur la Grand. et sur la Décad. des Rom. Chap. XIII.

(31) «Tutti i delitti contro le leggi di pace son subito puniti dalla Natura medesima con l'immutabile legge del taglione. Settimio scanna Pompeo per piacere a Cesare: Cesare è scannato da Bruto per vendicar Pompeo. I Romani aveano iniquamente trucidato, e oppresso i Sanniti, quei della Magna Grecia, gli Spagnoli, gli Africani, i Popoli Settentrionali, i Greci Europei, e Asiani, i Sirj, gli Egizj ec. Leggete la Storia della Guerra civile, e vedrete, che tutti questi luoghi furono purgati da fiumi di sangue Romano sparso da mani Romane. Questa considerazione mi ha sempre colpito. Qualunque ne sia la causa… il fatto è dappertutto vero.»
Genovesi Econom. Civil. Par. II. Cap. X. §. XIII. n. 6 nota (a). Veggasi pure Plutarco De Sera Numinis vindicta.

(32) Bac. Verul. Nov. Org. Scient. Aphor. 48.

(33) Segret. Fiorent. Discorsi sopra Livio.

(34) Paruta Discorsi Politici Part. I.

(35) Foscarini Letterat. Venet. Lib. IV. «Fra gli Illustratori delle cose Romane mentre durò laRepubblica, si guadagnò non poco onore Paolo Paruta con que' suoi ragionamenti, che a giudicio de' più fini Politici vanno sopra ogni esempio di simili componimenti».

(36) Montesq. Esprit. des Loix Liv. XXVII. Chap. unique.

(37) «Nescio an laetius fueris populo Romano Sicilia, & Aphrica contentos fuisse, aut ipsis etiam carere, dominansi in Italia sua, quam eo magni- tudinis crescere ut viribus suis conficeretur». L. Florus Rer. Roman. Lib. III. Cap. XII.

(38) David Hum Political Essais on Commerce. Ess. II. of Rafinement in the Arts.

(39) Genovesi Lezioni di Econom. Civ. P. I. Cap. XVI. §. VII., e nella nota (b).

(40) Genovesi Logic. Lib. II. Cap. II. §. IX.

(41) Instruc. sur les étud. Propr. à former un Magistrat. Inst. II.

(42) §. III.

(43) Genovesi Econom. Civ. P. I. Cap. XV. §. V.

(44) Maffei Verona Illust. Par. I. Lib. XI. Col. 306. ediz.di Verona in foglio 1732.

(45) Dell'Adelaide Illustrata abbiamo soltanto alla luce i primi due volumi, i quali comprendono la Storia degli Antenati della famosa Contessa di Torino, quantunque il disegno dell'Autore messo anche in parte in esecuzione, fosse di trattare non solo la Storia di quella Principessa medesima, ma de' suoi figliuoli eziandio, come più volte intesi da lui.
Chi poi avrà letto quanto è già alle stampe dell'Opera del Signor Terraneo, e tanto più chi avrà avuto occasione di trattar seco lui, sorte, che mi toccò non poche volte, credo, che non potrà trovarse non giusta la lode, che ho stimato qui di dovergli dare, lode consimile a quella, di cui già lo ha onorato l'erudito Signor Avvocato Vernazza in una bella Iscrizion sepolcrale spirante l'antica maestosa semplicità, che gli compose, e lode, che mi rincresce fino all'anima di potergli dare senza offendere la sua modestia. Che ben dovrollo dire a gloria delle Lettere, il sapere non lo avea reso né presuntuoso, né superbo. La sua conversazione, quantunque dotta, era però semplice, amena, senza affettazione o fasto letterario, condita di que' sali urbani, che la rendon più dolce. Schietto, sincero, ed aperto godeva nel comunicare altrui le sue cognizioni, che è il carattere delle bell'anime. E ben mi duole di non poter sottoporre al suo giudizio questo mio Saggio, come sottoposi un mio Ragionamento contro il Conte Algarotti, che esaminò attentamente, e tenne lungo tempo presso di se, non avendomelo restituito se non pochi giorni avanti alla sua morte, che avrei potuto al certo profittar non poco de' suoi lumi. Diis aliter visum.

Stimo quì pregio dell'opera inserire la mentovata Iscrizione del Signo Avvocato Vernazza, che è la seguente.

H. S. E.
JOANNES. THOMAS. TERRANEUS
LAURENTI. MEDICI. F. PETRI. FRANCISCI. N.
DOMO AUG. TAURINOR
SUBALPINAE HISTORIAE PARENS
QUI VIXIT ANN. LVII. M. II. DIEB. XXIV.
DECESS. IV. CAL. QUINT. CIDIDCCLXXI
IOSEPHUS. VERNAZZA. ALB. POMPEIANUS
AMICO ET. MAGISTRO. CARISS. P



Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice