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Gian Francesco Galeani Napione

Saggio sopra l'Arte storica

Appendice

Note editoriali

Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice

Appendice

Intorno a' Compendj Storici

Un modo di scrivere la Storia conosciuto dagli Antichi, depravato nella decadenza delle Lettere, ristabilito nel risorger di queste, ma confinato a tavole di nudi fatti, e di date, finalmente non solo restituito al suo primo splendore, ma portato a maggior perfezione da un Illustre moderno Scrittore, richiede di essere particolarmente esaminato per dare a questo mio Saggio tutta la necessaria estensione.

Ben è vero, che già dell'Arte ha scritto l'Artefice medesimo; e se bello è il leggere il Trattato della Pittura di un Vinci, l'Opera sopra l'Architettura di un Palladio, le Memorie militari di un Montecuccoli, bello è pure il leggere le Osservazioni intorno a' Compendj Storici dell'Autore del Compendio della Storia di Francia(1). Con tutto ciò non resta inutile il trattar di nuovo la materia; perciocché in primo luogo tutte [259] le Facoltà sono sempre capaci di progressi, sia per quello che riguarda l'ordine, sia ancor per quello, che riguarda la materia, come abbiamo altrove osservato; in secondo luogo l'Autor medesimo, come ben si raccoglie dalla sua maniera di scrivere, non pretese di dare un Sistema compito in questo proposito, ma appunto i materiali per un Sistema, onde il procurar di formarlo, ben lungi di esser cosa che si opponga alla intenzione di lui, è piuttosto accingersi a colorire il suo disegno.

Perché lo Scrittore di un Trattato sopra l'Arte Storica in genere sviluppar possa l'idea dello Storico perfetto, che tiene in mente, è detto sopra, che osservar dee le belle qualità, che negli Storici migliori si ritrovano. Ora avere un giudizio degli Scrittori più celebri, che si servirono di questo metodo, e giudizio dato da un Presidente Henault, è la più sicura base, che aver si possa per fondarvi il Sistema. Investigheremo adunque prima di tutto, quanto più diligentemente ci sia possibile, la natura, ed il fine de' Compendj Storici, conosciute le quali cose sarà più agevole accennar i mezzi, che indirizzar possono per giungere ad ottenere i vantaggi proprj di questa specie di Componimenti.

§ I. Della natura, e del fine de' Compendj Storici.

[260] Quanto difficil cosa sia il conoscere la natura, ed il fine de' Compendj Storici, nulla meglio il dimostra, che il differentissimo giudizio che ne recarono due uomini sommi, e forse i migliori Scrittori, che abbiano filosofato intorno all'Arte Storica. Per quello, che appartiene alle Epitome veri tarli delle Storie (dice Bacone(2)) vogliamo, che si sbandiscano del tutto, nel qual nostro sentimento concorrono uomini di gran senno, come quelle, che hanno corrosi, ed in fine in inutili feccie ridotti molti corpi di pregiatissime Storie. All'incontro il Signor D'Alembert(3) dice, che la più semplice, e più conveniente maniera di scrivere la Storia per chi vuole scrivere soltanto la Storia, cioè la verità, sono i Compendj. Che in sì fatto modo si riduce la Storia a ciò, che questa contiene d'incontrastabile, a' risultati generali de' fatti, e si [261] supprimono le particolarità sempre alterate dagli errori, e dalle passioni degli uomini, e conchiude, che a questa savia maniera dovrebbono restringersi gli Storici, se gli uomini avessero tanto senno di contentarsi di essere instruiti

Chi sarà Giudice tra Bacone, e D'Alembert? Ne giudicherà la natura della cosa, ed investigandola forse verremo a scoprire non essersi né l'uno né l'altro interamente ingannato, ma avere ciascheduno di loro osservato i Compendj soltanto per un aspetto, uno per l'abuso, che far ne possono gl'ignoranti, l'altro per un vantaggio, che è unicamente proprio di questa maniera di scrivere la Storia, ma che non esclude altri vantaggi, che possono essere unicamente proprj delle Storie compite; è necessario pertanto considerare la natura di questo genere d'opere in astratto. Altri sono i difetti di una cosa in se, altri sono i difetti di coloro, che non seppero giugnere a compirne l'idea. Altro è che una cosa sia cattiva in se, altro che i cattivi Scrittori, e gl'ignoranti ne abbiano abusato.

Compendio suppone una Storia compita, da cui è tratto, sia che questa sia stata già radunata in un corpo solo, sia che si trovi [262] ancora dispersa ne' monumenti, e nelle memorie originali, purché in qualunque modo esista, se mancano o questa Storia compita, o queste memorie, non si può più scrivere un Compendio di Storia compita, ma un Compendio soltanto di frammenti di Antichità proporzionato alla maggiore, o minor quantità, che si ha di queste originali memorie. Un Compendio poi perché gli convenga il nome di Compendio, non ha da particolarizzare tanto i fatti, che diventi Storia compita, né d'altra parte ha da restringersi a tal segno, che resti nude Tavole Cronologiche. Tra questi due limiti però può essere più o meno Compendio, del che ragioneremo a suo luogo opportuno.

Posto adunque che i Compendj suppongano una Storia compita, per questo riguardo si possono dividere ttutti gli Storici in Istorici Originali, e Compilatori. Gli Storici Originali sono quelli, che trovati si sono più vicini a' fatti, che descrivono, più vicini di tempo, di paesi, di mezzi medesimi di essere informati. Ve ne sono perciò di più gradi più e meno originali. I Compilatori sono tutti quelli, che servonsi di Storie, e relazioni altrui, tradizioni, memorie, documenti ec. Ve ne sono pure di più gradi. [263] Gli Scrittori più originali dovettero ascoltar relazioni. Cesare medesimo dovette informarsi da' suoi Luogotenenti. Per fissar le idee, ove domina ciò, che l'Autor vide, intese da' testimonj di vista, e se non fu presente al fatto, fu nel secolo, e nel paese, in cui seguì il fatto, chiamo l'opera di lui Originale, se vi domina il radunar memorie, o scritti altrui, la chiamo Compilazione.

Ora partendo da questo presupposto, gli Scrittori originali non possono, né devono giammai essere abbreviatori, perché da essi dipende l'aversi, o il non aversi Storia compita, e perciò devono registrare tutti quei fatti anche minuti, e poco memorevoli, che s'immaginano poter una volta interessare in qualche maniera la posterità. In quanto ai Compilatori possono essere o Scrittori di Storie compite, o di Compendj. Dipende da estrinseche cagioni il determinarli: a chi indirizzar vogliano le Storie, cui s'accingono a dettare, se già s'abbia una Storia compita raccolta dalle memorie originali, od ancor non s'abbia.

Del rimanente il Presidente Henault parlò soltanto de' Compendj, in quanto si può scrivere in questa maniera la Soria universale [264] di una Nazione. Noi restringeremo pure le nostre osservazioni a questa specie di Storia; ma s' ha da notare, che di tutto ciò, che v' ha Storia, vi può essere Compendio, onde per lasciar da parte la Soria della Natura, ossia delle Sostanze in se, vi può essere Storia, e vi può essere Compendio d'ogni specie delle umane azioni, Compendj, e Storie della Storia Civile, Ecclesiastica, Militare, Letteraria ec. Il fine di tutte queste Storie è che giovino a perfezionare quelle Facoltà a vantaggio di cui sono dirette, sia che sieno scritte queste in forma di Storie compite, sia che sieno scritte in forma di Compendj. Per la qual cosa se il fine della Storia universale si è di perfezionare le Scienze morali, e politiche, si vuol proccurare di giungere a questo medesimo fine, sia scrivendola in forma di Storia compita, sia scrivendola in forma di Compendio.

Di qui nasce una assai forte difficoltà. Se si giunge con un Compendio allo stesso fine, che con una Storia compita, perché ogni Storia non è Compendio? O per ispiegarmi più chiaramente, se l'utilità, che ne deriva, è la medesima, medesimo il fine, medesima la natura della cosa, in che si distingueranno la Storia compita dal Compendio? [265] Una cosa medesima come sarà diversa?

La Storia compita si scrive per la comune degli uomini, cioè mira ad ottenere il suo fine presso la comune degli uomini, i Compendj presso i Dotti, ed i Filosofi. La diversità pertanto di trattar la Storia, od in forma di Storie compite, o di Compendj, non ha origine dalla diversità del fine, ma dalla diversità delle disposizioni di coloro, a cui s'indirizza la Soria. I Compendj riguardano principalmente coloro, che già sanno una Storia, ed hanno soltanto mestieri di rammemorarsela, o coloro, cui bastano pochi fatti bene scelti, e pochi anecdoti ben notomizzati per conoscere a pieno il ritratto di un secolo, e di una nazione; sono più utili ad essi in quanto hanno in un sol colpo d'occhio tutto l'intero quadro della Storia, suppliscono colla Scienza, e colla Filosofia a' fatti, che sono toccati leggermente, ed alla sfuggita, godono di una Storia compita con fatica minore.

A' Filosofi sono di una utilità grandissima i Compendj. Chi ha da conoscer l'uomo dee vederlo quanto più ampiamente si può. Se si hanno a leggere tutte le Memorie originali, od anche le Storie compite di tutte [266] le nazioni antiche, e moderne rimarrà più poco tempo da servirsi delle notizie acquistate. Buona cosa è adunque averle descritte in Compendj, servirsi dei medesimi per farsene un'ampia idea, e quando per particolari studj si ha da esaminare esattamente qualche parte di queste, ricorrere per quel tanto agli Scrittori, ed alle Memorie originali. La notizia, che si avrà del tutto per mezzo del Compendio, ci farà intender meglio questi pezzi nelle mentovate Storie, e documenti originali.

Quantunque però per li dotti, e per li Filosofi si scriano principalmente i Compendj, onde bene fu osservato nella Enciclopedia essere questi più utili per destare le idee, che già si hanno, che per darle a chi non le ha, nulladimeno convien riflettere, che alla stessa cosa può applicarsi con diversa misura l'ingegno umano. Rispose un Pittor valente ad un Dilettante, che grandemente gli lodava un bel quadro: E che direste voi, se lo vedeste co' miei occhi? Ne ricavava egli che intelligente era dell'Arte maggior diletto, ma per questo non lasciava di ricavarne pure il Dilettante. La stessa cosa sucede nelle opere d'ingegno; non sono queste esclusivamente utili ad un solo [267] genere di persone, ma possono, quantunque in diversi gradi di utilità, essere utili a diversi. Laonde i Compendj possono pure in qualche maniera giovare a quelli, che né dotti sono, né Filosofi, dando loro una tal qual notizia sempre da preferirsi alla totale ignoranza, invogliandoli d'instruirsi in tutto, od in parte della Storia, e quello, che è ancor più pregevole, delle Scienze, che ne formano il fine. Utilissimo adunque è un Compendio, qualora viene a congiungersi con uno studio fatto, o da farsi, per lasciar da parte, che una scienza superficiale, purché chi l' ha la riconosca per tale, è sempre a lui più vantaggiosa della totale ignoranza, avendo in questo modo il seme del sapere.

 

§ II. Si dimostra l'insussistenza degli inconvenienti trovati da alcuni ne' Compendj.

Ma ascoltiamo gl'incovenienti de' Compendj esposti con una ingenuità degna di un uomo grande in tutto il lor pieno lume dal Presidente Henault(4). La taccia più [268] fondata, dic'egli, è, che i Compendj terminano di distruggere il già quasi spento gusto della fatica; favoriscono l'infingardaggine nel medesimo tempo, che pascono la vanità; dispensano di ricorrere a' fonti; fanno innalzare moltissimi tribunali, in cui si decide con tanta maggior franchezza, che altri non senza sua maraviglia si trova dotto, ed in cui si disprezza la scienza, che si crede già acquistata a sì poco costo. Ciò che chiamasi ingegno (egli conchiude) a' nostri tempi tien luogo di tutto, e l'apparenza della Filosofia ha distrutto il sapere. Per vedere in qual modo i Compendj possano recar questo danno, si ha da considerare in primo luogo la conessione, che aver debbono tra loro le Facoltà, in ispecie la Filosofia, e l'Erudizione, per venir perfezionata ciascuna; quella che abbiano di fatto a' nostri tempi, e finalmente se i Compendj possano opporsi a quelle relazioni, che aver debbono tra loro.

I progressi in ciascuna Facoltà non sono isolati. Col voler divider troppo gli studj si corre pericolo di mal dividerli. Coloro, che si limitano tra certe determinate idee, potranno per avventura far qualche figura nelle Scienze esatte, ma nelle altre Facoltà non [269] possono giammai riuscire uomini grandi; laonde è cosa facile, dice Genovesi(5), vedere un giovane gran Geometra e sottile, e forte calcolatore di numeri, e di grandezze astratte, aggirandosi in poche idee quasi fuori del Mondo reale, ma non così nelle altre Scienze, ove bisogna aver notizia del Mondo, e delle relazioni, che hanno tra loro le cose, che pajono più disgiunte, e separate. Per la relazione adunque che hano le cose tra loro, non si potrà mai perfezionare una Facoltà senza aver notizia delle altre. È osservazione di un gran Ministro, e di un gran Poeta (osservazione, per dar peso a cui bisognava, che queste due qualità concorressero in un medesimo Soggetto), che le Arti in apparenza più frivole sono congiunte alle Arti riputate più necessarie con fortissimo vincolo, se bene poco meno che inosservabile, né potersi rompere questa catena senza pregiudicare alle più gravi Scienze(6): e il buon gusto medesimo nelle Bell'Arti si conserva, quando servono queste di alleviamento ad uomini nudriti nelle Scienze sode, si corrompe [270] quando diventano continuo trastullo degli oziosi, avendole la Natura suggerite all'uomo per ristoro, non per occupazione. Lo spirito della Geometria, e delle Scienze più astratte da una Scienza universale, che congiunta colle Scienze pratiche, le invigorisce, e rischiara; l'Erudizione in fine dà un gran numero d'idee, e chi ha più idee, può meglio giudicare della natura di ciascheduna delle medesime, può dalle particolari con sicurezza maggiore estrarne delle generali, e perfezionarsi quella facilità di pensare in grande, che moltiplica la scienza, è ella, che vivifica tutte le parti della Letteratura(7). Più si dirozzano adunque quelle Scienze i Professori di cui uniscono alla Scienza loro particolare un maggior numero di cognizioni tolto da diverse Facoltà.

Questa universalità di cognizioni fece il pregio pricipale de' Platoni, degli Aristoteli, de' Ciceroni, e dopo il rinascimento delle Lettere ci diede i Baconi, i Grozj, [271] i Leibnizj, i Genovesi, ed altri uomini grandi, de' quali tutti si potrebbe dire ciò, che d'uno di essi, cioè del Leibnizio, disse Fontenelle(8), che simili in qualche maniera a quegli antichi cocchieri, che aveano l'ardimento di guidare fino ad otto cavalli di fronte, portarono del pari innanzi tutte le Scienze. Tale è il Sistema, con cui dovrebbonsi coltivare le Scienze; ma a' nostri tempi qual è di fatto il Sistema, lo spirito generale della Letteratura? Per vederne lo stato attuale è bene osservarne in breve l'origine ed il progresso, dopo il total risorgimento delle Lettere in Europa.

È necessario aver idee prima di poterle confrontare, e di saper giudicerne. Ciò, che succede negli uomini singolari, segue ne' secoli, e nelle nazioni. Innanzi al secolo XVI. (per fissar l'epoca del total rinascimento a questo secolo, lasciando da parte i primi raggi usciti d'Italia ad illustrar l'Europa) v'era soltanto sottigliezza d'ingegno nelle Scienze astratte. Gli Scolastici rinchiusi ne' Chiostri, fuori del commercio della vita, professavano una Filosofia, la quale, quantunque avesse delle cose buonissime, [272] per la barbarie del gergo, ch'essi parlavano, per le inutili acutezze, onde furono da Bacone chiamati cumini sectores(9), e per la cieca sommissione ad Aristotile, era ignota alla più bella, e più colta parte delle nazioni. Il secolo XVI. fu un secolo di Eruditi, ed avendo l'Erudizione troppo maggiori attrattive, che la Filosofia Peripatetica, tanto più sparsa com'era d'Arabismo, ed avvolta tra mille spine, si fece ben presto un gran numero di seguaci, e di protettori fra le colte persone. Pontefici medesimi in quel secolo favorirono maggiormente i bei Letteristi, e gli Eruditi, che i Teologi.

Oltre all'acutezza v'era adunque a que' tempi anche Erudizione, onde ho fissato il total rinascimento a quel secolo; ma gli Eruditi, ed i Filosofi ben lungi di concorrere amichevolmente alla perfezione della umana Dottrina, cozzavano rozzamente tra loro, e perciò nessuno perfezionava la propria professione. Gli Scolastici biasimavano gli Eruditi loro contemporanei come vuoti e digiuni di scienza, meri Grammatici. Gli Eruditi biasimavano continuamente gli Scolastici come barbari, e privi d'ogni [273] bella cogmizione, né distinguendo costoro il grano dal loglio, gli biasimavano tutti, ed in tutto. Mario Nizolio scrisse allora un'Opera, la qual venne poscia commentata, ed in grandissima parte confutata dal Leibnizio, in cui tratta S.Tommaso, quel grande ingegno, che anche guardato unicamente come Filosofo meritò di esser chiamato l'Archimede della Metafisica, di monocolo tra' ciechi. Pareva nel fine di questo secolo, e nel principio del seguente, che non si potesse più esser dotto senza un grande apparato di Erudizione, che gli uomini non sapessero ragionare, che per citazioni, e per autorità, pareva in somma che l'Erudizione volesse opprimere la Filosofia.

Ma posto ch'esistesse questa somma d'idee, avvegnaché di diverso carattere, e possedute da diversi individui, doveano poi una volta venir congiunte. La metà circa dello scorso secolo fu l'Epoca fortunata, nella quale in dolce concordia s'unirono. Varj uomini grandi, gli uni facendo vedere le connessioni delle Scienze come Bacone, gli altri trattandole con maggior precisione, e miglior ordine, introducendovi il metodo matematico, come Cartesio; altri finalmente avendo il coraggio di distruggere ciò, che [274] avea di falso la Filosofia, che allora si professava, e di edificare, e presentar agli uomini la vera, come il gran Galileo, degno perciò di venir preferito da un dotto Inglese allo stesso suo nazionale Bacone(10), di secolo dotto il resero secolo illuminato. Nel nostro secolo finalmente ognuno che fa profession di lettere, ben lungi di seguir ciecamente le opinioni altrui, e di caricarsi la memoria di Erudizione, si pregia di essere originale. Si crede ora di esser Filosofo, purché si dicano cose nuove e strane, e con una superficiale Erudizione si crede di averne lo spirito. Tutto è ingegno. Già s'è passato comunemente il giusto limite, e v'ha pericolo, come dice il Presidente Henault, che il nostro secolo metta in discredito l'ingegno, come il XVI. avea messo in discredito l'Erudizione(11).

Pare pertanto, per far ritorno alla nostra materia, in questo Sistema di cose, e con questa disposizione d'ingegni, che i Compendj favoriscano l'infingardaggine, e dieno la presunzione della Scienza senza dare la [275] Scienza medesima, facciano porre in obblío i fonti della Storia, e le originali memorie. Ma questi sono difetti di chi ne abusa, non de' Compendj in se ove sieno ben eseguiti.

Nè i Compendj, né le Storie compite devono rendere inutili le memorie originali, e se vogliam riguardare l'abuso, che se ne può fare, maggior pericolo v'ha che le facciano disprezzare (principalmente quando queste, come quelle de' secoli rozzi, non abbiano alcuna esterna attrattiva) le Storie compite come più ampie e particolarizzate, che non i Compendj.

Vero è, che in quanto alla utilità morale, e politica, all'aver un ritratto del secolo, del paese, a cui appartiene il Compendio di una Storia universale, utilità comune ad ogni Storia d'ogni paese, e d'ogni secolo, sarà tanto più commendabile un Compendio, quanto maggiori prove avremo della scienza dell'Abbreviatore; ma l'opera di lui essendo come un risultato delle memorie originali, ben lungi di restar queste inutili, meritano sempre di essere conservate, sia per servir di fondamento all'Opera, sia per poter convincere l'Autorede' suoi casuali, o maliziosi errori, che in tutto, od in parte deformino il Compendio. È interesse [276] pertanto dello Studioso della Storia, che i monumenti originali si conservino, perché si possa recar giudizio dell'Opera. È interesse dell'Autore, che si conservino, perché servir possano in qualunque tempo di prova della diligenza usata da lui.

Per ciò che appartiene poi alla verità de' fatti in quanto da quelli sorgono diritti, i Compendj servono di tavole, e d'indici. Quando si ha da definire una quistione fondata sopra la Scienza di un fatto si vuol sempre ricorrere alle memorie originali. Per questo riguardo anche le Storie compite non sono che indici, indici soltanto più ampj, perché più estese. Quelli, che vogliono coll'ultima esattezza studiare una Storia compita, od in un Compendio, ricorrono agli Scrittori contemporanei, e ne raccolgono dalle memorie originali quella idea, che sembra loro più giusta. Una Storia compita può produrre vantaggi in ordine alla Morale, ed alla Politica, che produr non possono le memorie originali, vantaggi, che ottener si possono colla scelta de' fatti, e colle riflessioni, purché i materiali della Storia cadano in mano di uno Scrittor Filosofo; e i Compendj, per [277] riguardo a coloro, a cui sono principalmente diretti, producono con minor fatica il medesimo effetto, danno loro lo spirito della Storia, gliene presentano l'anima, poiché, come altrove abbiamo osservato, a misura che un uomo è più intelligente, fa più riflessioni sopra un fatto, e vede maggior numero di avvenimenti in un avvenimento. Il lettore assennato si serve di questi senza disprezzare, anzi ad un bisogno ricorrendo alle memorie originali per giudicarne.

Del resto i Compendj fanno leggere coloro, che altrimenti non avrebbono letto nulla, gli incoraggiano allo studio, danno loro qualche lume, mettono il sapere alla moda. Dell'abuso ch'essi potessero fare di questa superficial scienza non ne è colpevole lo Srittore, ma chi ne abusa. Allora soltanto sarebbe egli colpevole, quando abusato avesse, come dice il Presidente Henault, della facilità trovata a far male un'opera, che è sì difficile di far bene. Le stesse qualità poi, che ha da avere lo Scrittore di una Storia compita, dee pur averle l'Abbreviatore. Ha minor fatica da usare, ma non dee aver minor scienza, e Filosofia; e per ciò che appartiene alla scelta de' fatti, che è quello, che costituisce la differenza [278] essenziale tra le Storie compite, ed i Compendj, dee avere maggior discernimento.

Non debbo a questo proposito tralasciare, che il Marchese d'Argenson(12) in quelle sue belle Memorie intorno agli Storici Francesi, ed al modo di compor la Storia, ove senza nominarla tale, dà ottimi precetti per quella, ch'io chiamo Storia universale di una Nazione, dice, che vi vuole un Filosofo, un Critico, un Poeta, con un giudice dell'Opera a comporla, se questa ha da riuscir perfetta. Se volle intendere, come io penso, che abbia inteso, esser necessario per dettar bene una Storia, che lo Scrittore congiunga questi pregi, anzi prenda lumi da uomini di queste diverse professioni, diede un ottimo precetto: ma quando fossero realmente diverse persone, ognun vede, che o difficilissimamente, e forse mai si potranno accordare, o l'opera, massimamente in quelle parti, che non da regole, ma dal particolar gusto di ciascheduno dipendono, riuscirà varia, ed imperfetta. Uno de' primi passi filosofici del loro tanto vantato Cartesio fu il vedere, che non possono giammai riuscir [279] perfette quelle opere, ove v'ha la mano d'una sola persona(13).

 

§ III. Scelta de' fatti, riflessioni, e Critica

Quello, che distingue i Compendj dalle Storie compite, come già accennato abbiamo, è la scelta de' fatti. Pare a prima vista,che meno fatti debbano entrar nei Compendj, che nelle Storie compite, ma non è che debbano entrarvi meno fatti, devono bensì narrarsi più brevemente. Mi spiego. I fatti sono gli uni inchiusi negli altri; quando si dice a cagion d'esempio: fu assediata la tal città, fu invaso il tal paese, si comprendono tutti i fatti particolari, che in quell'assedio, od in quella guerra seguirono. Quanto più ampj sono questi fatti, tanto più confusa idea presentano, ma d'altra parte sono tanto più sicuri, quanto più sono particolarizzati, presentano una più chiara idea, ma sono ogni volta più incerti nelle parti, che li compongono; le passioni, le frodi, l'imbecillità istessa della umana [280] memoria, e del raziocinio possono molto più facilmente alterarli. Per questo capo adunque, come bene osservò il Signor D'Alembert, i Compendj ci danno i fatti più sicuri, ma bisogna confessare, che per la comune de' lettori sono anche meno interessanti, ed utili. È soltanto per li Filosofi, che basta accennarli in grande. Questi avvenimenti sono per essi, cangiati i nomi, comuni a tutti i paesi, ed a tutti i secoli, sono come il marmo nelle statue, che è in tutte della medesima natura a un di presso. Basta che essi sappiano una parte considerabile della Storia umana per immaginarseli da se. Certi fatti minuti, isolati, od in se, o per quel tal aspetto, sotto cui si riguardano, in una parola gli anecdoti sono quelli, che caratterizzano i secoli, e le persone. Questi, per minuti che sieno, e disprezzevoli agli occhi volgari, non si possono tralasciare ne' Compendj, perché appartengono all'anima della Storia, che è quello, che cercano coloro per cui principalmente scrivesi questa in una sì fatta maniera. Così fece nel suo eccellente Compendio della Storia di Francia il Presidente Henault. In Vellejo Patercolo, dice Voffio(14), vi si trovano [281] particolarità, che non si hanno altrove. Non possono poi mancare gli anecdoti, ed anecdoti riguardanti, non solo il Diritto pubblico di quella tal Nazione, di cui si compendia la Storia, ma eziandio riguardanti la politica amministrazione, i costumi, ed i caratteri degli uomini famosi di quella, purché s'abbia una considerabile quantità di memorie originali, ed incontrandoli il Compilatore talvolta in lontanissimo proposito, sappia riconoscerli, e ne faccia registro.

Tanto sia detto di que' fatti, che composti sono di altri fatti subalterni, e degli anecdoti; veniamo ora a que' fatti, da cui, quantunque apparentemente divisi, si raccoglie un fatto ampio, e generale, un costume, un instituto, la maniera di pensare, lo spirito di una Nazione. Gli Scrittori di Storie compite devono ridurre tutti quegli avvenimenti, da cui nasce un tal fatto generale, sotto una medesima classe, per far osservare ciò che ne risulta dopo averli narrati; gli Abbreviatori basta a mio giudizio che ne presentino il risultato. Trattandosi per altro di certi fatti, per rispetto a cui, chi volesse procedere coll'ultima esattezza dovrebbe esaminare una presso che infinita quantità di altri fatti, gli stessi Scrittori di [282] Storie compite si servono di certo colpo d'occhio, come abbiam notato altrove, acquistato dall'abito di filosofare sopra la natura dell'uomo. Se adunque di questo colpo d'occhio dee servirsi anche uno Scrittore di un a Storia compita, quanto più perfetto non dovrà averlo un Abbreviatore, giacchè non può, narrando i fatti particolari, lasciare al giudizio de' lettori il risultato, ma dee dar loro il risultato, o toccandoli alla sfuggita, o senza narrarli del tutto?

Ma gli avvenimenti possono più o meno esser toccati, accennati, o particolarizzati ne' Compendj. Possono entrare in questi, fra que' limiti che abbiamo sopra fissati, cioè tra una Storia compita, e nude tavole Cronologiche, più e meno fatti, può essere un Compendio più, e meno Compendio, da che dipenderà determinarne la misura? Dalla qualità delle persone, a cui s'indirizza principalmente il Compendio, e dalla qualità della Storia, che si prende ad abbreviare. Quelli, per cui si scrivono i Compendj, possono essere più o meno instruiti, più o meno Filosofi; dunque più ampj, o più ristretti possono essere i Compendj. Dalla qualità della Storia, che si prende ad abbreviare. Può essere questa [283] già radunata da uno Scrittor di vaglia in un corpo compito, od ancora dispersa nelle memorie originali. Se si ha Storia compita, tanto più se pregevole, di molti fatti noti, basta darne l'epoca; così fece il Presidente Henault, avendo scritto dopo il P. Daniel Storico, di cui questo uomo grande ha una molto più buoa idea di quello, che ne abbiano alcuni altri Francesi(15). Quando poi non si ha Storia compita, ma soltanto memorie, o Scrittori originali, se rozze sono quest'opere e mal note, si dee aver maggior condiscendenza; ove queste sieno dotte, eleganti, e famose, può mandar più soventi il lettore alle medesime.

Le riflessioni abbiamo a suo luogo osservato essere di due maniere, o sono riflessioni, per mezzo di cui da' fatti si ricavano altri fatti, o sono riflessioni, che comprendono una verità astratta appartenente alla teoría delle Facoltà, ad utile di cui si scrive la Storia. Ora le riflessioni d'entrambe queste specie devono aver per base la scienza di quelle Facoltà medesime, e recare un vantaggio medesimo, quantunque si cerchino [284] fatti colle prime, colle seconde precetti morali, e politici. Il raccogliere per mezzo di fatti, e di riflessioni sui medesimi, a cagion d'esempio, che il lusso mandò in rovina l'Impero Romano, richiede non minor scienza economica, che il pronunciare la verità astratta: il lusso rovina i Corpi politici. Tutte queste riflessioni sono proprie non solo degli Scrittori di Storie compite, ma eziandio degli Scrittori de' Compendj, anzi in certo modo quella Critica, che consiste in raccogliere da molti fatti particolari, per mezzo delle Facoltà, che formano il fine della Storia, un fatto generale, in conoscere i secoli, e le persone, nello stringere, ed esprimere in poco il sugo più importante degli avvenimenti, la Critica Filosofica in somma è più propria dello Scrittore di un Compendio, che dello Scrittore di una Storia compita.

Per rispetto alla Critica degli Scrittori, e delle opere permanenti, se non si può scrivere Storia compita innanzi che per mezzo dell'Arte Critica sieno stati preparati i materiali, non si potrà pure scrivere Compendio di una Storia, innanzi che sia stata aperta la strada da laboriosi, e diligenti Critici Scrittori, i quali abbiano raccolte, schiarite, ed illustrate le originali memorie.

[285 ]Dicasi finalmente, che essendosi appunto perfezionata la Critica, e conoscendosi meglio la Politica, e la Morale, possiamo scrivere i Compendj, i quali più vantaggiosi riescano a queste Facoltà di quegli scritti dagli antichi, non essendo soltanto la Storia, che perfeziona la Morale, e la Politica, ma eziandio queste Scienze, che perfezionano la Storia; poichè le cognizioni dell'uomo non si spingono avanti col solo proprio vigore, ma in forza dell'union loro colle altre. Gli antichi Abbreviatori non aveano occhi bastantemente filosofici, quindi è, che quantunque abbiano de' pregi grandissimi, non riempiono però l'idea di questo genere di opere. Per questa parte Vellejo medesimo è superato dal suo grande Ammiratore.

 

§ IV. Della Disposizione, e dello Stile.

Ci resta ora soltanto a ragionare della Disposizione de' fatti, e dello Stile ne' Compendj per dar compimento a queste Osservazioni. E per ciò che appartiene in primo luogo alla Disposizione, quanto abbiam notato nel Saggio a proposito della Storia compita, [286] ha pur luogo ne' Compendj. Dee pertanto l'Abbreviatore servirsi di un ordine, che sia misto dell'Ordine Cronologico, e dell'ordine delle cose. Il Presidente Henault, quantunque abbia intitolata l'Opera sua Compendio Cronologico, non lasciò di dare un ritratto dello stato della Francia alla fine di ciascuna schiatta de' Re, ed alla fine dell'Opera aggiunse quelle sue osservzioni, che potrebbono da se sole rendere immortale il nome di lui. Inoltre, non lasciò di richiamare in poco tutto il ritratto di ciascun regno alla fine dei medesimi. La stessa cosa fece il Signor Pfeffel nel suo Compendio della Storia, e del Diritto pubblico di Germania, Opera, che meritò di essere collocata dal Signor D'Alembert accanto al Compendio della Storia di Francia(16). Le Antichità Germaniche, gli Imperatori Carolinghi, quelli delle Case di Sassonia, di Franconia, di Svevia ec. formano diverse Epoche in questo Compendio, e le riflessioni, che vengono fatte a ciascheduna di queste dal dotto Compilatore, riuniscono il tempo scorso nell'Epoca intera in un punto, e formano [287] una Storia, in cui resta ottimamente mescolato l'ordine delle cose coll'ordine del tempo.

Resta ancora innanzi di por fine da trattar dello stile de' Compendj. Qualche proprietà particolare aver dee questo diversa dallo stile delle Storie compite. Due cose farò io pertanto a proposito di una tal materia. In primo luogo considererò la diversità, che ha da passare tra lo stile delle Storie, e quello de' Compendj. In secondo luogo farò alcune osservazioni intorno allo stile in genere; il che servirà pure a maggiore schiarimento di quanto abbiam notato circa a questa materia nel Saggio.

Proprio ha da essere dello stil de' Compendj lo stringere molto in breve. Floro è in tal'arte Maestro solenne. Cum victoria posset uti, maluit frui. Ecco in poco tutti gli errori di Annibale. Introisse victoria fuit. Ecco delineata la guerra di Macedonia. Questi, ed altri luoghi di un tale Scrittore, ove si vede una brevità, che comprende moltissime cose, vengono giustamente celebrati dal Montesquieu(17). Baldassar Graziano rinomato Scrittore Spagnuolo dice delle Epitome [288] di Patercolo, e di Floro, che non sono corpi, ma puri spiriti(18). Ciò non ostante si dee badar bene, servedosi di questo stile conciso e vibrato, di non cadere nel ricercato, nell'oscuro, nel manierato, difetti, da cui que' due medesimi tanto vantati Scrittori non vanno del tutto esenti, e forse si meritarono da quello Scrittore Spagnuolo un sì ampio elogio, perché molto si confà lo stile di essi al genio della Nazione di lui. Due sono le cagioni, io penso, di tali difetti in essi, una che nasce dal medesimo genere di scrivere, se altri non è più guardingo, ed è, che dovendosi rinchiudere molte cose in poche parole, è facile di diventare oscuro, e dovendosi ornare in qualche modo molte cose eziandio con poche parole, è facile cadere nel ricercato. L'altra esterna cagione fu il gusto corrotto, che regnava già a' tempi di questi Scrittori, onde sono in gran parte colpa piuttosto del secolo loro, che propria di essi. Se avessimo l'Epitome di Cornelio Nipote tanto lodata da Catullo(19), si vedrebbe forse, che si può esser [289] breve, ed elegante senza essere né oscuro, né ricercato. Del rimanente non bisogna darsi a credere, che vi sia una sola maniera di scriver bene, e che usando uno stile non ancora usato da alcun celebre Scrittore, si dia tostodel manierato. Già ho altrove accennato, che gli stili possono esser diversi buoni tuttavia; non istimo ora inutile proccurare di dilucidar questa materia, il che servirà non solo a far conoscere, e a giudicar rettamente de' diversi stili de' Compendj, ma eziandio de' diversi stili, in cui può essere descritta la Storia.

La Natura ha diversi generi di Bellezza, vi è il Bello grandioso, magnifico, forte, terribile, vi è il Bello, dilicato, gentile, tenero, passionato, con infinite combinazioni di questi generi di Bellezza, e degradazioni dei medesimi. La Quercia di Virgilio, che contrasta co' venti, e quanto s'innalza co' suoi rami, tanto si profonda colle radici nelle viscere della terra, è bella in diverso genere di Bellezza al pari del Fior di Catullo nutrito dall'Alba, ed ignoto alla greggia. Bella è la Venere de' Medici, ma bella pure sarà stata la Minerva di Fidia. Belli l'Antinoo, e l'Apolline di Belvedere, ma bello pure l'Ercole Farnese. Se questa [290] diversità di Bellezze nella Natura produce diversità di Bellezze in quelle Bell'Arti, che imitano direttamente le Bellezze naturali, come la Pittura, la Statuaria, ed in grandissima parte la Poesia, o se immaginano bensì Bellezze più perfette di quello, che sieno in Natura, non escono però da quel genere di naturali Bellezze, che prendono ad imitare; onde ciascheduno avrà certamente riconosciuto per una bella donna la Galatea di Raffaello, di cui ho ragionato altra volta, quantunque non avesse tipo in Natura: quanto maggiori diversità non produrrà in quelle Bell'Arti, che delle naturali Bellezze imitano per dir così la Metafisica, cioè imitano lo spirito delle Bellezze della Natura, non i particolari generi delle Bellezze della medesima? Di qui nacque la diversità degli ordini nell'Architettura, de' tuoni nella Musica, degli stili nell'Oratoria. Ma limitati saranno questi generi di stili? Ed in un determinato genere si potrà dall'uomo giungere a tal perfezione, che non si possa più oltrepassare da un altro?

Per definir questa quistione bisogna farsi ad esaminarne un'altra più ampia, ed importantissima, che non solo riguarda i diversi generi di stile, ma interessa tutte le Belle [291] Arti, ed è, se in queste si possa giungere ad un tal grado, che che non si possa andar più oltre, o pure se succeda ciò, che succede nelle Scienze, i di cui avanzamenti sono progressi bensì, ma progressi verso l'infinito. Il P. Tiraboschi in una sua bell'Opera, di cui in quest'anno sono usciti alla luce i due primi volumi(20), dice, che avendo le Scienze per oggetto il Vero, le Bell'Arti il Bello, sempre si può andare avanti nelle Scienze, ma nelle Bell'Arti, quando si arrivi a quella perfezione, che costituisce [292] il Bello, il voler ancora avanzarsi più oltre, è il medesimo che dare a dietro. Mi dispiace di non poter convenire in questo particolare con un Letterato, con cui desidererei di essere d'accordo in ogni cosa. Ma siccome gli uomini grandi, com'egli è, non temono, che per la verità, onde null'altro bramano, se non che ciascheduno esponga, e provi quello che vero giudica, per abbracciarlo, se viene scoperto da essi, instruirli se s'ingannano, non tralascierò di esporre in breve quelle ragioni, che mi persuadono a seguire un contrario parere. Prima di tutto adunque determiniamo la natura del Vero, ed i varj sensi, in cui può esser preso; proccuriam d'investigare, se il Bello è proprio esclusivamente delle Bell'Arti, e quindi conosceremo, se finito sia, e limitato il Bello, di tal fatta che, giunto che si sia a quel certo segno, in cui esso consiste, non si possa più passar oltre.

Il Vero in senso metafisico è proprio d'ogni cosa, che esista, sia che esista in se, o soltanto per astrazione nella mente. Ma gli enti, quali si scorgono in Natura, essendo composti di molte proprietà, allora gli chiamiamo veri nell'uso comune di parlare, quando hanno tutte quelle proprietà [293] essenziali, dalla di cui unione in un soggetto ne risulta la loro essenza. Ora io dico la Filosofia, cioè le Scienze, essere la ricerca del Vero, le Bell'Arti imitazione del Vero; ma quando dico imitazione del Vero, non intendo di quel Vero, per cui ogni ente è vero, che in tal caso vere pur sono le imitazioni; perciocché quantunque un'imitazione per riguardo al suo modello non sia giammai cosa vera, un ritratto, a cagion d'esempio, un busto di Cesare, di Trajano, non sieno un vero Cesare, un veroTrajano, sono però vera tela, veri colori, vero marmo, vera operazione di un Artefice, in una parola vero busto, vero ritratto, ma intendo di quel Vero, che si scorge nelle cose, che esistono da se, per comporre il qual Vero si ricercano molte proprietà insieme unite, cioè tutte quelle, che determinano la natura di una cosa. In somma nelle Bell'Arti osservo non le opere degli uomini in se, che per questo lato rientrerebbero nel Vero, e una imitazione medesima può essere soggetto di un'altra imitazione, come una statua dipinta in un quadro; ma le considero in quanto imitano. In un complesso pertanto finto, che imita un complesso vero, vi possono essere molte [294] relazioni vere, e quanto maggiore sarà il numero delle relazioni ordinate a rappresentare il soggetto, che si prende a imitare, e perciò il complesso finto si avvicinerà al complesso vero, maggiore sarà l'imitazione, e la somma di queste relazioni maggiore, renderà maggiormente perfetta l'opera, che ne risulta.

Siccome poi il Vero nel suo senso rigoroso non è altro che una relazione di cosa a cosa; così il Bello è un concatenamento di relazioni, da cui risulta un ordine o serie, e catena di cose conveniente al fine di quella cosa, in cui questa serie si ritrova, onde, come acutamente osserva il P. Gerdil(21), le relazioni sorgenti del Vero sono fondamento dell'ordine, e perciò base della Bellezza, e in questo modo la Bellezza non è che una progressione ordinata del Vero considerata in un punto. Chiamiamo Bello il Vero, quando il Vero nella sua progressione è tale, e di cose tali, che giugne a dilettare. Diletta maggiormente, quando ci giunge nuovo; quindi i gradi del Bello vengono fissati dai gradi del diletto, che ne ricaviamo, e dalla nostra maggiore, o minor meraviglia.

[295] Perché adunque una cosa complessa sia bella, non è necessario, che il progresso del Vero la segua in tutte le sue parti, basta che vera sia una serie di relazioni rinchiusa in quella, e perciò belli chiamar si potranno in certo modo talvolta certi speciosi ragionamenti, quando tuttoché falso sia il principio fondamentale, nulladimeno si scorge una serie ben ideata di relazioni tra le conseguenze, e quel falso principio, di tal fatta, che le conseguenze vere sarebbono, se non fosse supposto il fondamento. Non resta pertanto escluso il Bello dalle Scienze, giacché s'incontra infino nell'abuso delle medesime, anzi il Bello può essere considerato in tre maniere.

V'è il Bello della Natura; vi è il Bello intellettuale; vi è il Bello d'imitazione. Il Bello della Natura è soltanto oggetto di diletto, non di opere. Il Bello intellettuale è quel piacer, che si ricava dall'osservare in quelle operazioni dell'umano intelletto dirette a scoprire il Vero, una serie tale di relazioni, che ci giunga nuova, e ci diletti; quindi è, che i primi principj, non dilettando, li chiamiamo soltanto veri, non belli, ed una dimostrazione allora la chiamiamo bella, quando ci giunge nuova. Una [296] dimostrazione di cosa nota, quantunque sia nel medesimo grado della scala di progressione del Vero, tuttavia, perché non ci desta maraviglia, vera la chiamiamo soltanto, non bella. Del resto la Bellezza intellettuale è indipendente dalla Bellezza naturale: perciocché, non solo può esser bella una dimostrazione, che faccia conoscere una cosa deforme, ma può essere eziandio bella una ingegnosa dimostrazione, quantunque falsa, come sopra è detto. Questo è il Bello delle Scienze, e si riferisce principalmente al Raziocinio.

Il Bello d'imitazione è il diletto, che si prova, vedendo che l'uomo coll'opera imita la Natura, ed infino gareggia colla medesima fingendo cose, che non esistono, o per dir meglio imitando quel Bello, che vede in confuso, ma non conosce, e questo è il Bello delle Bell'Arti, che si riferisce alla Fantasía, per mezzo di cui l'uomo comanda in certa maniera alla Natura, facendosi venir innanzi quegli oggetti, che lo dilettano quand'ella non glieli presenta, e di questi quelle sole parti, che lo dilettano, solamente per quello aspetto, che gli piace, ed in fine inventando ciò, ch'ella gli nega del tutto. Indipendente poi al pari della [297] Bellezza intellettuale è la Bellezza d'imitazione dal Bellodella Natura; anzi, come osservò Aristotile nella Poetica, ci diletta l'imitazione di un serpente, e di un cadavere, perché appunto ci dà quel tanto solamente, che in quegli orridi oggetti si trova di maraviglioso, ci commuove senza giugnere a spaventarci, e ad atterrirci, ci colloca in quella giusta distanza, dice il Signor D'Alembert(22), in cui proviamo il piacer d'esser commossi senza sentirne il disgustoso. Siccome poi finalmente nelle Scienze i gradi del Bello vengono fissati danna nostra maraviglia, e dal diletto, che ne proviamo, lo stesso segue pure nelle Bell'Arti.

Quantunque pertanto il primario oggetto delle Scienze sia la ricerca del Vero, non lascia però in queste d'incontrarsi il Bello, onde se si dà unicamente il nome di dilettevoli alle Bell'Arti, si è perché la maggior parte degli uomini essendo più Fantasía, che Raziocinio, più corpo che spirito, sono più proprj a ricavar diletto dalle Bellezze d'imitazione, che dalle Bellezze intellettuali riserbate al godimento di pochi l'onor della [298] umana specie, ed è per questo motivo, che le Bellezze intellettuali, per incontrare il comun gradimento vogliono esser condite col dolce della Oratoria, della Poesia, e delle altre Belle Arti. Né si dee poi tralasciare che vi sono Facoltà intermediarie, che partecipano d'imitazione, e d'investigamento, sono le anella di comunicazione nella catena delle cognizioni umane. Ed in ultimo si dee avvertire, che la Fantasía non meno che il Raziocinio, essendo entrambe proprietà della medesima anima umana, devono in ogni Facoltà essere sempre congiunte, quantunque una domini principalmente; anzi si vuol notare, che nel sommo delle Scienze si riuniscono in tutto il loro vigore, e ne' più grandi ingegni, avvegnaché si spieghino, e si manifestino diversamente, si trovano però in pari grado di eccellenza insieme congiunte: perciò disse il mentovato Signor D'Alembert, che l'imaginazione in un Geometra, che crea (io direi che scopre) non agisce meno, che in un Poeta, che inventi(23), quantunque comunemente vengano considerate queste due Facoltà, come i due poli opposti dell'umano sapere. [299] Dal fin qui detto si rileva adunque, che, se essendo infinito il Vero, sempre vi sarà da cercare nelle Scienze, che proccurano d'ivestigarlo, e perciò infinito è il Bello intellettuale, sempre pure vi sarà da fingere nelle Bell'Arti, che proccurano d'imitarlo, ed infinito sarà pure il Bello d'imitazione.

Nè è da credere, che servendosi le Bell'Arti in massima parte per tipo, e sempre per istromenti o di corpi, o di qualità corporee, questi come limitati pongano termine una volta alla perfezione delle Bell'Arti; perché primieramente pochi termini diversamente combinati, e più volte ripetuti sono capaci d'infinite diversissime combinazioni, onde moltissimi corpi, e moltissime qualità corporee somministreranno una infinita miniera di combinazioni, da cui sempre sorger possano nuove Bellezze. In secondo luogo, quantunque le combinazioni corporee fossero finite, infinita ed immensa è l'idea del Bello, che come un raggio della eterna Bellezza balena alla mente dell'uomo; onde quando manca all'uomo il piacere di poter arrivare a maggior conoscenza del Vero, ed il piacere d'imitar questo Vero conosciuto, quasi sdegnato esce dalla Natura, a lui [300] nota, e si finge, e si crea un piacere coll'imaginazione, proccurando di avvicinarsi alla somma idea del Bello, che vede in lontananza confusamente, idea, a cui sempre può accostarsi senza mai potervi giungere, non potendosi trovar mai il sommo Vero, il sommo Bello, e quella somma Felicità, che dal conoscimento di questi ne deriva, se non riunita, e concentrata in un punto nell'Ente Infinito. Non imita allora l'uomo il Bello della Natura, che conosce, ma tenta d'imitare, e d'esprimere l'idea infinita della Bellezza.

Quella proprietà del cuore umano di non potersi mai interamente appagare di nulla, quella brama di giunger sempre ad una felicità maggiore, quel non esser mai contento e sazio, infelicità, che la dignità dimostra della natura di lui, non esisterebbe, se l'uomo immaginar non potesse, almeno così in confuso, Bellezza più vaga di quella che vede, piacer più grande di quello, che prova, in una parola felicità maggiore di quella, che gode, onde questa qualità dee pur ravvisarsi nel diletto, che ricava dalle produzioni delle Bell'Arti, di tal fatta, che maggiore bensì sia un tal diletto a misura che queste sono più perfette, ma giammai [301] sì grande, che appaghi interamente il desiderio di lui. Dunque chi avrà anima più sensibile, gusto più delicato del Bello, maggior forza di Fantasía per poter colpire un punto, e prendere una idea di perfezion di Bellezza in qualunque genere di Bell'Arti, che sia d'uno o più gradi superiore a quel Bello, che già si ha, e chi avrà maggior abilità in rappresentarla coll'opera, potrà sempre portare più oltre le Bell'Arti. La cagione pertanto della decadenza di queste, quando sono giunte ad uncerto segno, non è che limitato sia il Bello, ma è, che limitato è l'ingegno umano, perciò bisogna cercarla nella natura dell'uomo, non nella natura delle medesime.

Le Bellezze d'imitazione non si possono sottoporre come le Bellezze intellettuali a calcoli, a numeri, a misure. Le verità scoperte da un altro servono per andar avanti nella ricerca del Vero, ma le Bellezze dipinte da un altro non possono servire per indirizzare a superarle. È difficile, che sorgano uomini dotati d'ingegno maggiore di quello, che ne' tempi passati ne sieno sorti; ora per superar gli antichi nelle Bell'Arti, bisognerebbe esser tale, il che non è necessario nelle Scienze. Nelle Scienze non solo [302] un ingegno uguale può superarli, ma eziandio un minore, servendosi di ciò, che già aveano essi ritrovato. L'esser posti dalla ristretta natura dell'igegno umano limiti, mentre l'uomo desidera, e proccura ad onta delle sue poche forze di andar avanti, è quello, che cagiona la decadenza delle Bell'Arti, massime in quelle, che imitano il Bello metafisico della Natura, e le fa cadere nel ricercato, e nel manierato. Gli sforzi, che si fanno da' mediocri, ed anche, ove non sieno regolati, da' grandi ingegni per andar oltre nella espressione del Bello, producono il gusto falso, che sembra bello, perché nuovo e difficile, benchè il nuovo solo, né il solo difficile non bastino per constituire maggior grado di Bellezza. Questa fu la cagione della depravazione in Italia della Poesia, della Eloquenza, dell'Architettura nel secolo scorso, e della Musica nel nostro(24). Tuttavia, quantunque sia tanto più difficile ritrovar nuove Bellezze, quanto è facile lo sdrucciolare nel tentar d'avanzarsi, questo non fa, che non vi sieno diversissimi [303] generi di Bellezza, e che non posano esser portati più oltre senza cader nel difettoso, né toglie, che od un più grande ingegno, che per avventura sorgesse, possa portar più avanti il medesimo genere, od un ingegno uguale, prendendo una nuova strada, possa giungere ad un medesimo grado in un diverso.

Per istringere adunque finalmente la quistione allo stil de' Compedj, quantunque pericoloso sia questo genere di scrivere, e facilmente cader si possa nell'oscuro, e nel ricercato, nulladimeno non solo per ottimi modelli, che ci avessero lasciato gli antichi, si potrebbe sperar d'andar oltre, ma di più v'è una strada nuova da battere, un luogo non ancor occupato da essi, poiché lo stile di Vellejo Patercolo, il miglior di tutti gli antichi Abbreviatori che abbiamo, per attestato del suo stesso moderno Traduttor Francese, non è privo di considerabili difetti(25), ed è ben lungi di essere nel suo genere così perfetto, come è quello di Salustio, di Livio, di Cesare. Troppo lungi forse mi sono lasciato trasportare dal piacer [304] di queste ricerche, ma a me pare, che necesario sia trattar le materie Rettoriche per li loro primi principj, e con maggiore spirito filosofico di quello, che si sia fatto fino ad ora comunemente(26): perciocché in questa materia troppo forse scrissero i Grammatici, troppo poco i Filosofi. Se io abbia recato ad effetto la mia idea, lo giudicheranno gl'intelligenti; a me basterà averne mostrato il desiderio.



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Note appendice

(1) Mémoires del'Acad. des Inscrip. et Belles Lettres Tom. XXVIII. Mém. de Monsieur le Presid. Henault sur les Abégées.

(2) Bac. de Aug. Scient. Lib. II. Cap. VI.

(3) D'Alemb. Mêlanges Tom. V. «Réflex. sur l'Hist.» p.481. 2.

(4) Henault Mém. sur les Abrég. p. 611.

(5) Genovesi Logica Lib. V. Cap. II. §. I.

(6) Bernis Ragion. sopra la Poesia.

(7) «C'est elle qui nourit et fait vivre toutes les autres parties de la Littérature depuis le bel Esprit jusqu'au Philosophe; il faut l'encourager par les mêmes principes qui dans un état bien policé font encourager les cultivateurs». D'Alemb. Apolog. de l'Etude Mêlanges Tom. V. p. 517.

(8) Fontenelle Eloge de Monsieur Leibnitz.

(9) Bac. Serm. Fid. de Stud. et Lect. Libror.

(10) David Hume nella Storia della Gran Brettagna sotto la Casa Stuart. Appendice al Regno di Giacomo I. Tom. I.

(11) Abrég. de l'Hist. de France an 1650.

(12) Mémoir. de l'Acad. des Inscript. et Belles Let. Tom. XXVIII.

(13) Thomas Eloge de Descartes not. 12.

(14) Voff. de Hist. Lat.

(15) «Cet Auteur est plus impartial et plus instruit que bien de gens ne l'ont cru». Abrég. de l'Hist. de France an. 1713. p. 877.

(16) D'Alemb. Réflex. sur l'Hist. Mêlang. Tom. V. p. 482.

(17) Montesq. Essai sur le GoûtDe la Curiosité».

(18) Baltassar Gracian Agudeza Disc. 60

(19) « …Ausus es unus Italorum
Omne aevum tribus explicare chartis
Doctis, Iupiter, et laboriosis.»
Catul. Carm. I.

(20) Stor. della Letterat. Ital. Tom. I. P. III. Lib. III. Cap. II. §. XXVII., e nel Tomo II. «Dissertaz. sull'origine del Decadimento delle Scienze» §. XXVI., e in altri luoghi. La Storia Letteraria, cioè la Storia delle speculazioni dell'ingegno, è la parte della Storia delle operazioni dell'uomo più interessante, e più degna di lui, onde Bacone dice, che la Storia del Mondo senza questa parte sarebbe come una Statua di Polifemo priva dell'occhio, mancandovi quello, che maggiormente esprime l'indole e il genio della persona, ed è quella parte, per cui l'Italia somministra un più bel campo ad uno Scrittore, superando ogni altra nazione, poiché per due volte instruì l'Europa intera. Non è piccola gloria nostra, che un uomo della dottrina, e dell'ingegno del P. Tiraboschi si sia accinto ad una tale impresa, ed io mi servo volentieri di questa occasione, per suggerirne la lettura a chi prendesse a scrivere una Storia dell'antica Italia, cosa che non ho fatto prima, per non essermi giunti se non ultimamente i due primi volumi di quest'Opera.

(21) Introd. allo Stud. della Relig. Dissert. sopra l'origine del senso morale. Corol. della Proposizione XIX.

(22) D'Alemb. Disc. prélim. de l'Encyclop. Mêlang. Tom. I. p. 62.

(23) D'Alemb. loc. cit. Mêlanges Tom. I. p. 86.

(24) «Le beau siécle de cet art semble être en Italie sur son déclin, et le siècle de Sénéque, et de Lucain commence à lui succéder». D'Alemb. Mêlanges Tom. IV.« De la liberté da la Musique» n. XVI.

(25) Monsieur l'Abbé Paul. Disc. prélim. à la traduction de Paterculus p. XXIV.

(26) «Ces puérilités pédantesques qu'on a honorées du nom de Rhétorique, ou plutôt qui n'ont servi qu'à rendre ce nom ridicule… ne sont propres qu'à donner de l'Eloquence l'idée la plus fausse, et la plus barbare». D'Alemb. Disc. prélim. de l'Encyclop. Mélang. Tom. I. p. 57.



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