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Gian Francesco Galeani Napione

Saggio sopra l'Arte storica

Capo sesto

Note editoriali

Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice

Capo VI.

Dello stile Storico.

Non penso di poter terminare questa mia Operetta intorno all'Arte Storica senza dir qualche cosa circa allo stile Storico. Certamente il detto fin qui potrebbe bastare per chi si contentasse delle sole cose; ma essendo per una parte così unite, e connesse le parole colle cose, di cui son segni, e d'altra parte pregiandosi gli uomini più grandi di sagrificare alcun poco alle Grazie, ed esporre le fatiche loro con ornamenti tali, che corrispondano all'importanza di quelle, e ne rendano dilettevole, e perciò di maggior profitto la lettura, stimo necessario accennar in breve quanto penso poter contribuire a rendere anche per questo riguardo pefetta una Storia.

Non mi sarò io già qui ad esaminare quanto ha l'Eloquenza Storica di comune, dirò così, colla Eloquenza in genere. Anzi né pure verrò io osservando quanto notar si potrebe intorno alle narrazioni: perciocchè si narra per diversi fini, e vi sono perciò certe avvertenze da porsi in pratica [229] particolari a ciascheduno di questi. Le Memorie a cagion d'esempio, le quali si scrivono per servir di materiali alla Storia, non ricercano la gravità, e la pompa di stile necessarie per dettar la Storia universale di una nazione.

Mi restringerò adunque unicamente a quella, che chiamar potrebbesi elocuzione di quel genere di Storia, che proponiamo, cioè della Storia universale di una nazione, avendo sopra detto quanto basta della disposizione: e questo è quel tanto, che propriamente constituisce la Rettorica: perciocché l'invenzione procede dalla cognizion delle cose, e da quella tal parte di Filosofia, la quale è necessaria all'Oratore per persuadere, ed allo Storico per instruire. Anzi dalle viscere pure del soggetto, di cui si tratta, nasce la più acconcia disposizione in gran parte de' materiali, e quello, che è unicamente proprio della Rettorica, si è lo stile, quantunque questo pure prenda forza e vigor dalle cose, che ha da rappresentare. Disse pertanto cosa verissima, ma tanto vera appunto, che non avea bisogno di troppo sottili speculazioni per essere scoperta, chi disse doversi dar opera agli studj della Eloquenza dopo gli studj Filosofici, che è [230] tanto quanto dire doversi studiare avanti le cose, e dopo il modo di disporle, e di rappresentarle colle parole. Così facevano gli antichi Greci, e Romani, e così abbiamo stimato dover far noi, non già seguendo ciecamente le loro pedate, ma la scorta della ragione.

Prima di tutto però è ben riflettere, che se la Natura tanto può sopra l'abilità, che ha ciascheduno per far riuscita nella professione, a cui è inclinato e disposto, è ella, che fa quasi il tutto nelle Bell'Arti, principalmente in quelle, le quali non hanno bisogno che di sola fantasía per apprendere, od inventare, e parole per esprimere, come è la Poesia. Una prova di questa verità si è l'esservi stati Poeti, e Poeti sommi, innanzi che le altre Arti sorgessero dalla tenebrosa notte, in cui giacevano. Così Omero fu tanto tempo innanzi che Apelle dipingesse, e Fidia scolpisse. Dante e Petrarca tra noi sorsero due secoli innanzi a' Raffaelli, a' Buonaroti, a' Palladj. Ossian fiorì in una Nazione in cui non si scrivea né meno. Anzi in quest'Arte pretendono alcuni, che la stessa rozzezza del secolo contribuisca a rendere le opere per certi capi più perfette. L'Autor dell'Entusiasmo delle [231] Belle Arti, dividendo in due classi l'entusiasmo, e gl'ingegni de' Professori di quelle, cioè in grandi, e sensibili, ed in amabili, e dilicati(1), dice esser per l'ordinario della prima maniera i più antichi, e primi. Ed in vero hanno questi un non so che di enfatico, di sublime, hanno un certo fuoco impetuoso, ed ardente, che ben lungi di esser frutto di coltura, e di precetti, viene da questi estinto, o sopito. Vi sono perciò de' Critici valenti, che attribuiscono gran parte della eccellenza di Omero allo aver egli fiorito in tempi rozzi, e d'indipendenza, in cui la natura umana era libera, grande, e sciolta, e se non perfezionata dalla educazione, e dalle leggi, era però originale, né impicciolita o travisata da' precetti, e da' pregiudicj altrui, in un secolo in somma, in cui i costumi, le passioni, le virtù, ed i vizi degli uomini erano per dir così più poetici. E per rispetto alla Oratoria i più solenni maestri di Eloquenza, trattando del modo di dipingere vivamente le cose, e di commuovere gli affetti, nel che consiste il più essenziale dell'Arte, non sanno dare altro precetto, che [232] d'immaginarsi di veder quelle cose, che si vogliono descrivere, e di vestirsi di quelle passioni, che si hanno da destare negli altri, le quali regole sanno talvolta meglio porre in opera le nazioni rozze, come quelle, che dotate sono, secondo ciò, che altrove abbiam osservato, di più viva, e profonda fantasía, di quello, che il sappian fare le colte.

Orase gli Storici eccellenti non sorgono se non tardi nella maggior coltura de' popoli, non è certamente, perchè lor manchi questa dote, ma perchè è necessario, che giunte sieno alla perfezione quelle facoltà, che formano la base della Storia, le quali se non dopo lunghe fatiche, e meditazioni non arrivano al colmo. Erodoto padre della Greca Storia vince, dicono i Grecisti, nella vivacità della espressione gli altri Storici suoi connazionali, o almemo gareggia con essi, tuttochè venga superato da quelli nella Critica e nella Filosofia. E tra noi il Boccaccio, il quale (se vere furono, come pensano certuni, non poche delle sue Novelle), può in certo modo chiamarsi pure Storico, vince sicuramente nel dipingere con sì fino, e dilicato pennello, con tinte sì saporite, e calde ogni nostro più celebrato Storico, di [233] di cui è molto più antico; non considerando io come tali alcuni Cronisti del suo secolo, che non hanno altro pregio, se non la purità della lingua, e l'essersi trovati contemporanei di quegli avvenimenti, che ci lasciarono descritti.

Sembrerà forse per lo sin qui detto, che abbia ad esser superflua ogni ricerca in questo particolare, nientedimeno io credo, che non riuscirà inutile l'investigare in che consista questa Storica elocuzione, e farvi intorno alcune osservazioni, il che formerà la materia di questo Capo: perciocchè conoscendosi le ragioni di ciò, che ci diletta, e ci rapisce, può una tal notizia non solo indirizzarci per recar giudizio dello stile Storico, ma può farci eziandio conoscere, se avvi in noi il germe per riuscire in questa parte, scoprirci quelle qualità, che ci mancano, ed accennarci il modo di suscitare le sopite scintille, di supplire a' nostri difetti, e farci abbandonare del tutto quello, in cui vediamo, che inutili sarebbero tutte le nostre fatiche. Verissimo è, che l'arte può assai poco, ma non lascia per questo di poter qualche cosa; vediamo adunque prima di tutto in che consista la Storica elocuzione.

§. I. Della elocuzione Storica in genere.

[234] Si rappresentano colle parole o cose reali, o cose inventate. La fantasía imprime nella mente le cose reali esterne, e corporee, le quali agiscono sopra di lei, dà corpo, suono, e figura alle interne, e spirituali. Inoltre la fantasía spingendosi più avanti crea il Mondo immaginario. Ma l'uomo per manifestare altrui sia quella parte del Mondo reale, che ha veduto, o scoperto, sia quanto ha immaginato, ha bisogno d'istromenti. Ora la più abbondante miniera, la più variata, ed espressiva d'istromenti per rappresentare le specie degli enti reali, ed immaginarj, si è quella delle parole; onde servonsi i Poeti delle parole, come gli Scultori, ed i Pittori d'invenzione del marmo, e de' colori per esprimere le loro idee, che escono dallo stato delle cose esistenti; servonsi gli Storici, ed i Filosofi delle parole per rappresentare il Mondo reale, come servonsi i Pittori ritrattisti de' colori per rappresentare il Mondo corporeo.

Due requisiti pertanto sono necessarj allo Storico, uno, che riguarda lui medesimo, [235] e l'altro la lingua di cui si serve. Dee egli esser dotato di una chiara, bella, e vasta fantasía, e conoscere a fondo la lingua, di cui si serve. Dee scrivere in una lingua formata, abbondante, espressiva. Osservò un gran Filosofo(2), che non vi è, né vi sarà mai lingua niuna tanto copiosa, energetica, distinta la quale basti a spiegare quanto tiene l'uomo nella sua fantasía, tanto più quando questa è più viva, ampia, e coltivata colle discipline, e perciò più grande il tesoro delle idee, essendo infinite le combinazioni, finito il numero de' vocaboli. Molti uomini grandi per questo motivo ebbero a lagnarsi delle proprie ricchissime lingue. Contuttociò v'ha tal lingua, che è molto più copiosa di tal'altra, a misura che è parlata da nazione più colta, letterata, dotta, scienziata, fornita d'Arti, e di commercio. Ed una lingua medesima è più perfetta in un secolo, che in un altro, e perciò ebbe a dire il sopracitato Filosofo(3), che il secolo d'oro delle lingue è quel medesimo, che il secolo luminoso per le Scienze, ed Arti delle Nazioni.

[236] Da tutto questo si raccoglie, che alquanto ingiusto fu cogli Storici l'Autore dell'Entusiasmo delle Belle Arti(4), relegandoli in un angolo di queste, poichè sono essi nel medesimo grado de' Pittori ritrattisti, e nel medesimo, in cui dovrebbono essere gli Oratori; ma di questo parleremo qui sotto più copiosamente. Basterà ora notare, che gli uomini qualunque Facoltà professino, o narrano, o ragionano, od inventano, onde, come abbiamo sopra veduto, o sono Storici, o Filosofi o Poeti e Romanzieri. Ora, essendo due gli ufficj della fantasía, uno rappresentare ciò che è, l'altro accrescendo, sminuendo, combinando variamente le idee, creare, e rappresentare ciò, che non esiste, e mai fu, ne viene, che il primo ufficio appartiene agli Storici, ed a' Filosofi, e l'Eloquenza, la quale è la veste, con cui sia gli uni, sia gli altri debbono vestire, ed anche ornare i loro argomenti, e le narrazioni loro, dee versare intorno a questo ufficio della fantasía. Se vestono, ed adornano menzogne, o sofismi sono dannosi Romanzieri, non Oratori, né Storici. L'altro ufficio appartiene a' Poeti, a' Romanzieri, come anche a' Pittori d'invenzione.

[237] Se adunque il Poeta è un Pittor d'invenzione, lo Storico, ed il Filosofo debbono essere almeno ottimi ritrattisti, voglio dire, che nel descrivere gli avvenimenti di una nazione si ricerca uno stile, il quale proccuri di uguagliarli fedelmente rappresentandoli. Uno stile freddo, e languido non potrà giammai fissar l'attenzione del lettore, e per riguardo alla Storia dell'antica Italia come potrà mai uno Scrittore senza entusiasmo esporre degnamente, e lasciare impressi nella fantasía altrui quegli esempj di frugalità, di giustizia, di valore, di magnanimità, di amor della patria, di prudenza, di generosità, e di ogni maniera virtù, di cui è feconda quella Storia?

Tutti gli uomini, come abbiamo osservato altrove(5), essendo o nati in diverso clima, o in diverso secolo, o di varia indole, o variamente educati, vedono il Mondo diversamente, la qual diversità se influisce sopra la scelta de' fatti, e sopra lo stendersi più o meno circa a certi avvenimenti, quanto non influirà nel rappresentare gli oggetti alla fantasía accompagnati da quelle piccole circostanze, ed osservazioni, da [238] quella tal tinta, che forma lo stile? Gli stili pertanto saranno variati come i temperamenti, i secoli, le professioni, gli studj; avranno uno stile poetico, fiorito, e ridente i vivaci, e dilicati ingegni, sarà duro e rigido quello de' severi, sarà leziosa, e cascante di vezzi, sparsa di pensieri brillanti la dettatura degli Storici de' tempi di lusso, rozza, ispida, ed incolta quella di coloro de' secoli, e delle nazioni barbare, ed in quanto agli studj saranno stentati, puerili, e ridicoli gli Storici meri Grammatici. L'arte sta nel cooscere il proprio genio, la propria inclinazione, i proprj mancamenti, e colla lettura, e collo studio proccurare di perfezionare le buone qualità, e di correggere, o piegare in altra parte i conosciuti difetti.

Del resto si ha da riflettere, per riguardo a questa diversità di stili, che quantunque vi sia un buono, ed un cattivo modo di dettar la Storia, vi sia coltura di stile, e rozzezza, e trascuraggine, vi sia vera e falsa Eloquenza, non è però un solo il modo di scriverla bene. Piace non meno la grave brevità di Salustio di quello che piaccia la dolce, e copiosa facondia di Livio, come piacciono nella Pittura la eleganza di Raffaello, e la forza di Michel'Angelo, nella [239] Poesia le brevi descrizioni di Virgilio, e di Dante, e quelle più minute, ampie, e particolarizzate di Omero, e dell'Ariosto, la vibrata Eloquenza di Demostene, e la piena abbondante del dire di Tullio nella Oratoria. Ciascheduno Storico adunque dee scegliere quella foggia di dettatura che è più propria al genio suo, e proccurare di perfezionarla coll'arte.

Non debbo qui lasciar passare questa occasione senza avvertir di un difetto, in cui può cader di leggieri uno Scrittore di una Storia universale raccolta da Autori originali, i quali sieno per la eleganza di stile famosi, e commendabili, ed è il tradurre che alcuni fanno pezzi di questi Storici, e tesserne in tal modo quasi intera l'opera loro. Fa d'uopo che lo Scrittore di una Storia universale si formi uno stile, e non vada traducendo per eccellenti che sieno gli Storici anteriori, altrimenti verrà a fare un vergato di varj stili, e pertanto mancherà all'opera sua quella uniformità, che ha da farne uno de' pregi principali. Quando unus et alter assuitur pannus non può riuscire la dettatura se non rotta, stentata giammai di vena. Che effetto può fare, per prendere appunto un esempio dalla Storia dell'antica [240] Italia, uno stile ora di Livio, ora di Salustio, ora di Cesare, un quadro composto delle diverse maniere di diversi Pittori? Per questo Capo fu biasimato meritamente il P. Famiano Strada dal P. Rapino suo confratello(6), e tanto più è degno di riprensione, quanto scrivendo Storie originali non era invitato, e stimolato a cadere in questo difetto dagli Storici anteriori, e d'altra parte non gli mancava l'abilità di formarsi uno stile. Senzaché, se lo Storico ha dalla Natura ricevuto la necessaria disposizione per riuscire in uno di questi stili, e coll'arte già formato se lo sia, e reso perfetto, non potrà adattarsi a questi diversi modi di descrivere le cose. Non so, se il Davanzati avrebbe tradotto bene Livio. Se poi non ha avuto in dono una fantasía capace di formarsi uno di questi generi di stili, o pure perfezionato non l'abbia collo studio, si farà vedere per un asciutto Grammatico, né so, come le anime grandi di questi antichi potranno respirare per un tal organo. Un uomo nodrito tra le minuzie grammaticali nell'ombra de' Collegj, lontano più che il Ciel dalla Terra dalle grandi occupazioni politiche, [241] e militari di Cesare, come potrà mai vestirsi de' magnanimi spiriti di quell'Eroe? Proccuri adunque ogni Storico di formarsi uno stile suo, proccuri di formarselo nel suo genere perfetto, e quando non arrivi all'ultima prefissa meta, sarà almeno suo proprio se non ottimo.

Dee poi lo Storico finalmente scrivere nella propria lingua. Se non v'ha lingua, la qual basti ad esprimere tutte le idee di un uomo, come potrà mai bastare una lingua antica, o straniera sempre mal conosciuta?

§. II. Della diversità, che passa tra lo stile Poetico, e lo stile Storico.

Stimo qui di ragionare della essenzial differenza, che passa tra lo stile Storico, e lo stile Poetico. Abbiamo detto essere lo Storico un Pittor ritrattista, il Poeta un Pittor d'invenzione. La differenza adunque (per lasciar da parte l'armonía meccanica del verso) dovrebbe consistere soltanto in ciò, che il Poeta inventa, lo Storico ritrae, e poste le cose o vere, od immaginarie, lo stesso [242] dovrebbe essere il modo di dipingerle. E pure, come osservò ottimamente il Cardinale Pallavicino(7), la Poesia raccoglie ogni minuta circostanza, e certi fatti particolari, i quali vengono disprezzati dalla Storia. Pare che di questo si sarebbe dovuto ragionare, quando trattammo della scelta de' fatti; tuttavia avendo, come dimostrerò ora, molte cose comuni per rispetto alla utilità la Poesia bene adoperata, e la Storia, onde questa differenza non costituisce una utilità diversa nella Poesia che nella Storia, come sarebbe lo scegliere più fatti in una Storia particolare, che in una unversale, e non scegliendosi diversamente le cose, perchè ne derivi una utilità diversa, ma per avere un diverso mezzo di giugnere ad un fine presso che medesimo, stimo che sia luogo suo opportuno il trattarne qui a proposito dello stile.

Per definir questa quistione, e sciogliere il nodo interamente, fa d'uopo prendere d'alquanto più alto i principj, e prima di tutto vedere qual sia il genere di Poesia, che alla Storia universale di una nazione si possa maggiormente assomigliare, quale sia [243] l'utilità comune a questo, ed alla Storia universale di una nazione. Il genere di Poesia, che dee maggiormente assomigliarsi alla Storia universale di una nazione, secondo che io penso, si è il Poema Epico. Ma l'utilità principale, che proviene dalle Storie universali, si è di due specie, una comune ad ogni Storia, ed è il giovar che fa questa alle Scienze morali, e politiche; l'altra particolare alle Storie di certi secoli, e di certi paesi, ed è la notizia, che ci somministra di certi fatti, di cui c'importa aver cognizione per li diritti, che ne sorgono. Ora se questa seconda specie di utilità non può giammai esser comune alla Storia, ed alla Poesia, la qual'ultima finge ogni cosa, la prima specie è comune ad entrambe queste Facoltà, e quantunque per certo lato sia minore nella Poesia, per altro rispetto è maggiore.

Essendo adunque comune il vantaggio, che dalla Storia, e dalla Poesia narrativa proviene, vale a dire essendo l'una, e l'altra Facoltà dirette al vantaggio delle Scienze morali, e politiche, bisogna osservare in quali modi si possa ottenere la perfezione di queste discipline, e vedere a quali di questi modi serva maggiormente la Storia, a quali [244] la Poesia. La perfezione delle mentovate facoltà io penso, che ottener si possa in due maniere principalmente, proccurando di conoscer bene la natura dell'uomo, il suo intedimento, le sue passioni, i suoi bisogni, piaceri, vizj, virtù, prerogative, difetti, il fisico, ed il morale di lui, le relazioni, che ha col Mondo corporeo, cogli altri uomini, e colle azioni dei medesimi; e questo è il primo modo. L'altro consiste nell'idear quelle leggi, quegli instituti, quella educazione, quella forma di Governo, che possa contribuire alla maggior possibile felicità dell'uomo. Si cerca nel primo modo che cosa sia l'uomo, quale la sua vera felicità, quali i bisogni, nell'altro i mezzi di giugnere ad una tale felicità, e di rimediare a que' bisogni. Ciò posto per lo primo riguardo maggiore al certo è l'utilità , che dalla Storia deriva. Per conoscere la natura umana bisogna vederla, non fingerla, ed i Poeti, se non l'hanno bene osservata nel Mondo reale, usciranno dal verisimile, fingeranno passioni, vizj, virtù mostruose, non umane. In questa parte, dice il Signor Genovesi, non v'ha Poeta, che sorpassi Omero(8), e perciò è più utile Storico, che Poeta, come abbiam detto altrove. Ma per rispetto rispetto poi allo spiegare, e sviluppar pienamente la teoría delle Scienze morali, e politiche, quando sia lo Storico, sia il Poeta ne abbiano una ugualmente perfetta idea, la Poesia, o per ispiegarmi diversamente la finzione, somministra assai più largo campo; così Senofonte nella Ciropedía finse que' fatti, e que' ragionamenti, che non gli dava la Storia; così, per prendere un esempio da' nostri, fece pure a giudizio del Conte Algarotti(9) il famoso Segretario Fiorentino (per isvolgere però soltanto quella teoría dell'Arte militare, ch'ei giudicava migliore) nella vita, che scrisse di Castruccio, e questo è il caso di dire con Aristotile, che la Poesia è più instruttiva della Storia.

Del resto come v' hanno cattivi Storici, i quali o scelgono per malignità que' fatti, che tacer dovrebbono, o gli falsificano per adulazione, come sono molti Scrittori de' secoli corrotti, o pure per ignoranza tralasciano ciò che è utile per raccontare inezie, come sono in gran parte gli Scrittori de' secoli [246] rozzi; così vi son pure Poeti, i quali, ben lungi d'indirizzare per la via fiorita delle finzioni gli uomini alla virtù, ed al sapere, li portano con immaginazioni disoneste, e lusingatrici delle passioni al vizio, gli uni alla voluttà, ed alla vita molle, ed effeminata, come i Poeti de' secoli corrotti, gli altri alla crudeltà, alla prepotenza, alle imprese falsamente gloriose, e come suol dirsi da ciò, che faceva appunto la materia dagli antichi Romanzi, romanzesche. Potranno avere talvolta questi Poeti, e Romanzieri imitazion de' costumi, vivacità di espressioni, eleganza di stile, passioni ben rappresentate, pennello dilicato, finissime tinte, ma riusciranno nientedimeno sempre più dannosi, e si allontaneranno sempre più dal vero principal fine dell'Arte loro. Questa è la parte, dice un valentuomo(10), per cui il nostro Tasso è superiore a tutti gli Epici antichi, ancorché lor sia inferiore in altri riguardi; e questa è la parte, aggiugnerò io, per cui essi sono infinitamente superati dal Poema del Telemaco di Fenelon (che Poema chiamar si dee, quantunque gli manchi l'armonìa [247] del verso) essendo di maggior utilità quel libro alle Discipline morali, e politiche, di quello ch'esser si possa la Storia universale di qualunque nazione scritta da uno Storico Filosofo per eccellente che siasi.

L'Istoria adunque per rispetto alla utiltà ha molto di comune colla Poesia. Serve inoltre la Storia alla Poesia per lo conoscimento dell'uomo, e come v'ha Storia universale, e v'hanno Storie particolari, le di cui utilità sono diverse così nella Poesia narrativavi possono essere diverse specie di Poemi narrativi diretti al vantaggio particolare di qualche Facoltà. V'ha tal Poema a cagion d'esempio che è diretto alla perfezione dell'Arte militare, come v'ha tale Storia, che un simil fine unicamente si propone. Per la qual cosa, che che ne dica il Pallavicino(11), ebbe ragione quell'acuto ingegno del Castelvetro di riprendere Aristotile, per non aver prima dell'Arte Poetica insegnato l'Arte Storica. Il che è vero però s'egli intese della esposizion de' precetti, che la materia della Storia riguardano: perciocché se intese della esposizion di que' precetti, che indirizzar si debbono al modo di [248] ottenere questa presso che medesima utilità, e con cui si hanno da rappresentare, e dipingere gli oggetti, s'ebbe il torto.

Il diverso mezzo, di cui si serve il Poeta per giugnere a questa utilità comune a lui, ed allo Storico, e perciò la differenza essenziale, che passa tra lo stile Storico, e lo stile Poetico, consiste in ciò, che il Poeta, siccome si serve del finto per instruire all'opposto dello Storico, il qual si serve del vero, così concede molto al solo diletto, rappresenta con vivacità gli oggetti, anzi per farsi leggere con maggior piacere descrive cielo, mare, campagne, tempeste, palagi, conviti, spettacoli, viaggi, ogni cosa minutamente, il che sarebbe ridicolo in uno Storico. Perciocchè, lasciando stare che renderebbe sospetta la Storia, non potendosi supporre, ch'egli sia così informato per minuto, chi legge la Storia, legge per instruirsi principalmente, che all'opposto chi legge i Poeti, legge per dilettarsi, ed il Poeta ha da ingannarlo, per dir così, ammaestrandolo per via del diletto, ha da fargli bevere i succhi amari, ma salutiferi, spargendo di soavi liquori gli orli della tazza. Per questa cagione lo stile è pieno di descrizioni, e perciò Poetico nell'Arcadia del Sannazzaro,[249] e nel Telemaco del Fenelon, quantunque queste opere sieno scritte in prosa, e ciò senza biasimo, anzi con lode, perché dipingono finzioni per dilettare, che all'opposto si ride giustamente Luciano(12) di quello Storico, cui appena bastava un libro intero per descrivere lo scudo dell'Imperatore, in mezzo del quale campeggiava la testa di Medusa co' crini viperei, che si tratteneva intorno alla veste di Vologeso, ed al freno del suo cavallo, né impiegava poche parole per dipingere la chioma ondeggiante di Ofroe nel passaggio del Tigri.

§. III. Della diversità, che passa tra lo stile Storico, e lo stile Oratorio.

Dopo aver osservata la diversità essenziale, che corre tra lo stile Storico, e lo stile Poetico, stimo necessario notare in poche parole quella, che passa tra lo stile Storico e lo stile Oratorio. Altra a parer mio questa non è, se non che colla elocuzione Oratoria si vestono, o si adornano ragioni, [250] colla Storica fatti, ed avvenimenti. In una parola l'Eloquenza è comune agli Storici, ed a' Filosofi, e siccome vi sono Storici colti, e Storici rozzi, nudi, digiuni, così vi sono Filosofi, che professano dichiarata nimicizia colle Grazie, quali erano gli Scolastici, e vi sono Filosofi gentili, che chiamiamo Oratori. Vi sarà forse uguale acume in una Disputa di un nostro Forense, a cagion d'esempio, che in tale Orazione di Cicerone, ma a motivo della veste chiamiamo l'uno Ragionatore arido, ed ispido, l'altro eloquente Oratore. Lo stesso dicasi de' Maestri in Divinità, i quali dettano nudi Trattati, e de' sagri Oratori, che espongono ornatamente in pulpito quelle speculazioni: mi allungo alquanto a questo proposito, perchè non si può conoscere qual sia la differenza tra lo stile Oratorio, e lo stile Storico, se non si sa precisamente prima di tutto in che consista l'Oratoria.

Dirà taluno, che l'Oratore commuove gli affetti, il che non fa il Filosofo, e perciò non per la sola corteccia, e per gli ornamenti distinguersi l'Oratore dal Filosofo, ma per la materia stessa. Facile nientedimeno è la risposta. L'uomo non si commuove ad amore, ad odio, a sdegno, a [251] compassione con sole parole, ma o per ragioni, o per mezzo di rappresentazione degli oggetti, i quali atti sieno a destar tali passioni. Il rappresentar ciò che è, è proprio della Storia, il cercar ragioni della Filosofia, dunque anche per rispetto alla materia sarà l'Oratore in questa parte, Storico se rappresenta cose vere, Romanziere se cose false ed ideali, Filosofo se espone ornatamente sodi argomenti, Sofista se si serve di ragioni soltanto apparenti. Il modo più acconcio di dispor le ragioni, di dipingere i fatti, questo è quello, che lo fa Oratore.

Così quella differenza, che si assegna comunemente tra l'Oratore, ed il Filosofo, che il Filosofo convince, l'Oratore persuade, è pure del tutto ideale, non essendo il persuadere che un passo più oltre del medesimo Filosofo, il quale convincendo, servesi soltanto delle ragioni, che provano l'utilità di una cosa in se, persuadendo servesi di quelle ragioni, che ci muovono ad abbracciarla, o fuggirla, a crederla, od a discrederla per nostro particolare interesse. Anzi di più, quando la materia il richiede, dovrebbono pure destare gli affetti non solo gli Storici, ma eziandio i più severi Filosofi, se non esponendo ornatamente, almeno [252] presentando in qualunque maniera le ragioni, che destar li debbono. Quando poi la materia non lo richiede, resta sempre necessaria sia allo Storico, sia al Filosofo, la perspicuità, dote, che non dovrebbe mai mancare a chiunque parla, e di cui abbisognano gli stessi Geometri, quantunque situati negli Antipodi delle Belle Arti, come disse graziosamente taluno.

Dal fin qui detto si viene in cognizione di uno sbaglio sommo preso da alcuni antichi, ed è il darsi a credere, che l'Arte Oratoria si estendesse per rispetto della materia ad ogni cosa, abbracciasse ogni Arte, ogni Facoltà, quando altro non è in realtà se non una veste, la quale si adatta ad ogni forma, ma da per se sola non può stare, non essendovi niente di più ridicolo, e di più sciocco al Mondo di que' parlatori, che con cervello vuoto, colla sola purità di lingua, eleganza di stile, e figure Rettoriche si accingono a ragionare, come chi con colori anche finissimi, privo del tutto della Scienza del disegno si mettesse a dipingere. Il dire pertanto che la sola Arte Oratoria comprende ogni cosa, è errore non molto minore di chi tanto dicesse della Gramatica, perchè di parole si servono i Professori di tutte le Discipline.

[253]Uno Storico colto adunque quando dee ragionare, diventa Oratore. È bene per altro a questo proposito avvertire, che non potendo talvolta uno Scrittore di una Storia universale sfuggir di trattare certe critiche spinose quistioni, che non si possono in nessun modo sparger di fiori, stimerei buona cosa, che, in luogo d'interrompere la narrazione, le relegasse in alcune annotazioni, sia perchè la Storia non prenda aria di dissertazione, e lo stile riesca freddo, e snervato, sia perchè la maggior parte dei lettori, i quali fanno professione di Critici, non sieno forzati a trattenersi intorno a ciò, che non curano. Si ascondono in simil modo i fondamenti de' palagi, quantunque parte così essenziale di un edifizio: il più de' riguardanti si contenta di ammirar l'esterna Architettura, né si vedono i sotterranei da altri, se non da chi di proposito come Architetto desidera di vederli.

§. IV. Delle Concioni.

Già porrei qui fine a queste osservazioni intorno all'Arte Storica, se non che stimo [254] a proposito aggiugnere alcuna intorno alle Concioni, materia, che già fu trattata da non pochi Scrittori dell'Arte Storica con molta diversità di pareri. Io ne dirò l'opinion mia brevemente.

Per riguardo adunque alle parlate, o si hanno le parole medesime, che profferite furono da un determinato personaggio in una tale particolar occasione, o se ne ha soltanto il senso, o finalmente non se ne sa nulla di preciso, ma si sa soltanto aver esso ragionato di un tale affare in una, od in un'altra sentenza. Nel primo caso, se si aggirano le parlate intorno a cose, che giudichi lo Storico di dover conservare, dee ricavarne il senso, ed inserirlo nella sua Opera. Potrà dirigerlo il fine della Storia, che scrive: anzi se giudica di conservare le parole medesime, potrà pure conservarle; così pare, che abbia fatto Cesare della parlata, che tenne Curione nel Consiglio di guerra avanti alla Giornata, in cui sconfisse Varo in Africa(13). In tal caso non dee far altro lo Storico, che o trascrivere, come credesi abbia fatto Cesare della mentovata concione, o tradurre, come dice d'aver fatto [255] il Guicciardini (che che ne sia della verità di questa sua asserzione) di quella Orazione recitata da Antonio Giustiniano Ambasciator Veneto innanzi all'Imperator Massimiliano(14). E questo è sopra tutto necessario di fare, quando trattasi di certi detti di uomini grandi, che ricevono la loro forza, e grazia dalle parole medesime, e dalla diversa loro giacitura; che anzi ricevendone talvolta pur molta dal tuono di voce, e dal gesto, non può egli, senza taccia di trascuratezza, tralasciare di far osservare in certi casi, quando note gli sieno, anche queste minute particolarità. Se poi non istima queste parlate di tanta importanza, potrà indirettamente inserirne solo quel tanto, che giudica a proposito. Siccome non ogni cosa seguita, così non ogni cosa detta merita luogo nella Storia.

Negli altri due casi, quando stima bene d'inserir nella Storia quel tanto che sa, l'inserisca pure; ma dee sempre restringersi a quello solo che sa, né uscire da questi limiti. Potranno talvolta mancargli le memorie di una parlata d'importanza, ma per questo non dee fare il Poeta, ed immaginarsela [256]da se. Il Signor D'Alembert biasima con ragione gli antichi Storici per questo difetto(15): ma anche tra gli antichi non mancò chi ne riprendesse due Storici appunto di quelli di maggior grido tra essi, quali sono Livio, e Salustio(16).

Quanto abbiamo detto delle concioni, intendasi detto eziandio delle leggi, delle convenzioni, de' treattati di pace, di alleanza, di commercio, de' diplomi, lettere ec. Si ricerca pure discrezione e prudenza per servirsi con profitto delle Collezioni diplomatiche, de' Corpi ti trattati, Codici di leggi, e Raccolta di lettere. Sono ottimi materiali per la storia, ma l'inserir tali cose nel corpo dell'Opera, è fare per l'appunto di questa un Sommario di materiali per la Storia, non una Storia compita. Se sono carte inedite di molta importanza, e che vi sia cagion di temere non si smariscano, si mettano piuttosto in fondo dell'Opera col titolo di documenti, o di prove, come hanno in uso di fare alcuni. Bisogna inoltre sfuggire non meno la negligenza di non servirsene, che la troppa accuratezza d'inserire [257] ogni minuta cosa. Ma quel poco che abbiam detto a suo luogo sarà più che sufficiente per dirigere le persone di senno, per gli altri riuscirebbe inutile ogni ragionamento per lungo e distinto che si fosse.

Questo è quanto mi restava per anco da soggiugnere, e qui porremo termine alle nostre Ricerche intorno all'Arte Storica. Se riusciranno queste di qualche utilità, mi stimerò a pieno ricompensato delle mie fatiche; altrimenti, se non avrò potuto ottener tanto, mi lusingo, che le discrete persone, se non l'Opera, approveranno almeno la mia intenzione.



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Note al capitolo VI

(1) Dell'Entusiasmo delle Belle Arti. «Classi» p. 365.

(2) Genovesi Logic. Lib. II. Cap. V. §. II.

(3) Idem ibid. §. III.

(4) Dell'Entusiasmo delle Belle Arti. «Passionati» p. 250.

(5) Cap. IV. §. V.

(6) Rapin Réflex. sur l'Hist. n. 10.

(7) Pallavic. Del Bene Par. II. Lib. III. Cap. LI.

(8) Genovesi Logic. Lib. III. Cap. IV. §. IX.

(9) Algarot. Lettere sopra la Scienza militare del Segr. Fiorent. Lett. X.

(10) Genov. Econom. Civile Par. I. Cap. XIV. §. XXIV. nota (a)

(11) Pallavic. Del Bene loc. supracit.

(12) Lucian. quomodo scribenda sit Hist.

(13) Caes. de Bello Civ. Lib. II. Cap. XXXI.

(14) Guicciard. Storia d'Italia Lib. VIII

(15) D'Alembert Réflex. sur l'Hist. Mélang. tom. V. p. 484.

(16) Trogo Pompeo presso Giustino Lib. XXXVIII.



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