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Gian Francesco Galeani Napione

Saggio sopra l'Arte storica

Capo quarto

Note editoriali

Indice | Dedica | Prefazione | Capo I | Capo II | Capo III | Capo IV | Capo V | Capo VI | Appendice

Capo IV

Della Critica

A Tutti è noto, che l'anima della Storia è la verità, e farei torto a' miei Lettori, se m'accingessi a dimostrarlo. Lo Storico, che la tradisce scientemente, è indegno di un tal nome, merita l'infamia di chi tende ad ingannare il Pubblico, ed infamia tanto maggiore, quanto non solo reca danno a' presenti, ma a' posteri eziandio. Questi tali non abbisognano di regole, ma di biasimo soltanto. Vi sono poi altri, i quali, comeché sieno ben lungi dal voler ingannare, ingannano nulladimeno i Lettori per essersi prima ingannati essi medesimi, ed in sì fatto modo possono innocentemente (se pur non è per propria negligenza) trarli in errore. L'Arte Critica è quella, che li dee dirigere in questa parte. Ora di una tal'Arte intendo io di ragionare in questo Capo, non già trattando minutamente di tutte le sue parti, ma, come dissi altrove, accennando ciò, in cui penso, che consista, quali sieno le sue varie specie, come, e quando ciascheduna di queste si voglia porre in uso, il che tutto [134] forma quel tanto di Arte Critica, che giudico appartenere all'Arte della Storia.

§ I. Delle diverse specie di Critica in genere.

Si può ampiamente chiamar Critica ogni ragionamento, che si fa per venire in chiaro della verità delle cose. In questo senso potrebbesi pure chiamar Critica la ricerca delle verità, che appartengono alla Storia della Natura in se, ma secondo l'uso comune adattasi questa voce a quell'Arte, che si adopera per ricavare o dalla narrazione medesima de' fatti, o dagli uomini, e dalle opere degli uomini la verità de' fatti nella Storia principalmente delle operazioni degli Enti liberi, ed anche nella Storia di que' fenomeni, che passeggieri sono, come terremoti, inondazioni ec. Dalle narrazioni de' fatti, come quelle, che portano non poche volte impresso il carattere di verità, o di falsità, e da cui altri fatti si possono congetturare. Dagli uomini, come narratori, e testimonj di ciò, che narrano. Dalle opere degli uomini, quali sono i libri, i diplomi, le iscrizioni, le medaglie, i bassi rilievi, [135] come mezzi da cui ricavar si può qualche notizia di cosa, che più non esista: perciocché le azioni degli uomini, sia quelle, che si aggirano intorno al Mondo reale, ed immaginario, sia quelle, che le azioni medesime degli uomini riguardano, possono essere o passeggiere e fugaci, o permanenti e che lascino opera dopo di se. Se sono passeggiere non possono giungere a notizia di chi presente stato non vi sia, se non per opera di testimonj, i quali sieno in caso di assicurarlo della verità loro. Le azioni permanenti poi, come per la Storia morale le leggi, per la Storia delle operazioni degli uomini intorno alla Natura i libri, i quali comprendono le meditazioni fatte per perfezionarla, come anche i libri, che comprendono le immaginazioni circa al Mondo ideale, tutte queste opere, finché durano, servono a se stesse di testimonio.

Del resto innanzi di passar oltre è bene avvertire, che, quantunque infinite cose sieno nel Mondo, che noi non potremmo sapere se non per l'altrui testimonianza, la testimonianza nondimeno, come ottimamente osservò il Signor Genovesi(1), ha tre gradi. [136] Il primo è il testificare quello, che noi non potremmo osservare per noi medesimi. Il secondo lo attestare quello, che noi potremmo veder per noi stessi. Il terzo è l'attestare d'intender quello, che noi per debolezza della nostra ragione non par che intendiamo. E segue a dire: Polibio è un testimonio delle cose succedute nella guerra Cartaginese, che appartiene al primo grado. Le memorie dell'Accademia di Parigi son testimonj di osservazioni, e sperienze fisiche, che appartengono al secondo grado; Plinio, Redi, Reaumur, Duhamel sono Storici della Natura. Archimede, ed Euclide son testimonj delle loro dimostrazioni, che appartengono al terzo, e conchiude, che il Filosofo si dee studiare di non dipendere, se non quanto si può il meno da altri, che da sé stesso nei due ultimi gradi di testimonianza, altrimenti sarà un Gazzettiere, non un Filosofo.

Dice ottimamente: quanto si può il meno, essendo impossibile, che un uomo veda tutto ciò, che potrebbe vedere. Così prende un Professore di una Facoltà i dati, di cui abbisogna da' risultati delle speculazioni di un Professore di un'altra. Il Moralista prende, o dovrebbe prenderei dati da' Medici, dagli [137] Scrittori di commercio, l'Antiquario dal Matematico, il Matematico dal Giureconsulto, e viceversa ove ne abbian mestieri, fondandosi, per assicurarsi meglio della perizia di coloro, di cui si servono, sulla pubblica fama, e sopra altri estrinseci argomenti.

Ma per dir tutto in breve la Critica, rigorosamente parlando, si adatta soltanto a quelle cose, che non potremmo sapere in altra maniera se non per testimonianza, sia che esaminiamo il fatto narrato in se, sia che esaminiamo le qualità del testimonio. Quando poi questa vien fatta da Dio intorno a cose, di cui ignoriamo la convenienza tra loro, o disconvenienza, si dice Fede. Quando dagli uomini, narratori, Scrittori, od Autori di opere permanenti intorno a cose possibili, autorità si chiama. Gli altri due gradi di testimonianza, i quali strettamente parlando, ne formano un solo, e che chiamar si potrebbe testimonianza di quelle cose, che veder potremmo per noi medesimi, ma non prendiamo i mezzi per vederle, sia perché ci manchi agio ed ozio, come nel primo caso, sia capacità, come nel secondo, non cadono se non impropriamente sotto l'Arte Critica, cioè, come ho detto, soltanto per riguardo alle ragioni estrinseche, [138] per mezzo di cui si può giungere ad una qualche certezza nell'affermare una verità, che non conosciamo.

Quantunque pertanto Critica chiamar si possa ogni ricerca del vero, chiamo Filosofia la ricerca, che fa la ragione umana della Natura delle cose in se; Critica la ricerca di quelle cose, che per noi soli né vediamo, né potremmo vedere. Ciò posto la Critica è necessaria ad ogni Storico delle operazioni umane, la differenza consiste nella diversa specie di Critica, di cui egli servir si dee per riguardo al genere di Storia, che prende a trattare, e nella estensione, che dar dee alle sue ricerche per riguardo al modo di trattarla.

Delle diverse specie di Storia abbiamo sopra favellato, parleremo ora pertanto delle diverse specie di Critica, e così verremo a conoscere quali, e quante critiche ricerche sieno necessarie agli Storici delle umane azioni, e principalmente ad uno Scrittore di una Storia universale di una Nazione, e come debba servirsi degli originali Scrittori, e trarre quelle notizie, che nel Capo antecedente abbiam veduto essergli necessarie.

V'è la Critica de' fatti narrati, e v'è la Critica degli uomini sia come narratori, sia [139] come Scrittori, ed Autori di altre opere permanenti: parliamo adunque prima di tutto del'uso della Critica de' fatti.

§. II. Della Critica de' fatti.

La Critica de' fatti può dirsi la Critica degli Storici Filosofi, non però in quanto raccolgono dalla Storia riflessioni, ed ammaestramenti spettanti a quelle Facoltà, le quali formano il fine di una Storia universale, del che abbiamo ragionato a suo luogo, ma in quanto dalla narrazione di un fatto o ricavano la verità, o falsità del medesimo, o almeno conoscono quali ricerche far debbano per assicurarsene, o pure quando da un fatto narrato raccolgono altri avvenimenti i quali erano nascosti ed ignoti.

Per riguardo alla prima specie della Critica de' fatti, innanzi di tutto si ha da riflettere, che, quantunque due sole sieno le specie delle narrazioni, cioè o di cose vere, o di cose false, le narrazioni di cose vere possono soltanto essere o di cose verisimili, o di cose inverisimili; all'incontro le narrazioni delle cose false non solo possono [140] essere di cose verisimili, od inverisimili, ma eziandio di cose impossibili, cioè non solamente finzioni verisimili, od inverisimili, ma anche finzioni ripugnanti, e contraddittorie, come abbiamo osservato ad altro proposito.

Ciò posto, chiamiamo fatti verisimili quelli, che in nulla ripugnano alle idee, che abbiamo, inverisimili quelli, che con queste idee non troppo bene concordano, impossibili quelli, che vi ripugnano assolutamente. Ne' primi, e ne' secondi si dee riguardare unicamente alle qualità del testimonio, gli ultimi si hanno a rigettare senza altro esame. Chi narra un fatto, da cui ne seguirebbe, che Dio sarebbe ingiusto, o pure non in ogni sua parte perfetto, merita la stessa credenza di chi affermasse esservi un triangolo di quattro lati, od una retta curva. Quelli, che narrano fatti tali, non possono essere se non mentitori. Né s'ha da por mente ad essi anche quando volessero darne Dio per testimonio, non potendo l'Ente infinito, somma verità, essere Autor di menzogna. Tali sono molte false rivelazioni spacciate da' Sacerdoti de' Gentili, e da altri impostori.

Ho detto, che in quanto a quelli della prima, e seconda maniera si vuol badare [141] soltanto alla qualità del testimonio, ma è da avvertire, che sebben non si debba riguardar ad altro, che alle qualità del testimonio in quelli della seconda, si dee nulladimeno per rispetto a questi procedere con maggior cautela. Certa cosa è, che tutto ciò, che è vero, rigorosamente parlando ha da essere in se verisimile, e perciò l'inverisimiglianza non è intrinseca negli avvenimenti, ma è estrinseca, e riguarda colui, che gli osserva o cogli occhi proprj, per dir così, o negli Scrittori. A quelli, che gli guardano cogli occhi proprj possono sembrare inverisimili, o perché superano la forza della ragione umana, o perché superano la capacità loro particolare, in una parola gli sembrano sempre inverisimili per brevità della mente. A quelli poi che gli riguardano negli Scrittori, benché eziandio talvolta possano sembrare inverisimili per poca capacità, o per l'imperfezione della ragione umana, non poche volte sembrano inverisimili per colpa dello Scrittore, cioè per aver questi tralasciato quegli aggiunti, e quelle circostanze, le quali gli avrebbero resi verisimili. E' necessario adunque in questo caso assicurarsi ben bene della qualità del testimonio; anzi ottimo avviso io [142] giudico il procedere più oltre, cioè quando una cosa ci sembra inverisimile, né d'altra parte si può dubitare del testimonio, si ha da osservare attentamente la natura della cosa in se, se pure è di un genere, a cui l'umano intendimento possa arrivare, e proccurare di farla entrare nell'ordine delle cose non solo vere, ma verisimili eziandio, o pure immaginarsene le circostanze, che la possono render tale, della positiva notizia, delle quali essendo privi, inverisimile ci sembra.

Bisogna del resto conoscere a fondo la Storia della Natura in se per poter giudicar rettamente della verisimiglianza, inverisimiglianza, od impossibilità delle operazioni, che si attribuiscono agli Enti liberi. L'ignoranza, ed anche spesse volte le passioni danno un falso aspetto alle cose, le fanno credere verisimili, od inverisimili, possibili, od impossibili anche quando non sono tali. Siccome nella Storia del Mondo corporeo, o per ispiegarmi diversamente in quella Storia, la quale comunemente vien detta Storia naturale, chi non avrà sufficiente cognizione delle proprietà de' corpi, rigetterà quasi impossibili cose verissime; come quel Re dell'Indie, che trattò da mentitor solenne un [143] viaggiatore, che diceagli agghiacciar a tal segno i fiumi nel Settentrione di Europa, ch'altri vi potea passar sopra co' carri: così si rigetteranno pure, come assurde, ed impossibili, cose verissime nella Storia delle operazioni degli Enti liberi, quando non s'abbia una bastante notizia della Storia della natura loro in se. Un Re del Pegù ebbe scoppiar dalle risa, quando intese da un Veneziano non esservi alcun Re in Venezia. Allo stesso modo che l'ignoranza della Storia della natura del Mondo corporeo fece giudicare impossibile al primo l'agghiacciar de' fiumi, così l'ignoranza della Storia umana fece sembrar sì strana al secondo una forma di Governo non Monarchica.

Essendo pertanto necessario conoscere a fondo una cosa, e colla maggior evidenza per dichiarare impossibile il contrario, non si dee credere, e né pure si ha da negare troppo precipitosamente ciò, che ha dello strano, e del maraviglioso. Tal regola si vuol mettere in pratica, principalmente quando trattasi di certe operazioni attribuite agli spiriti rei, quando trattasi di predizioni, apparizioni, incanti, malíe ec., perché, come saviamente avverte Bacone, non è ben chiaro in quali cose, ed a qual segno gli effetti, [144] che si attribuiscono alla superstizione, partecipino delle cagioni naturali (2).

Né è solo l'ignoranza, che fa credere molte volte impossibile ciò che è ignoto, moltissime volte sono le passioni, che offuscano l'intelletto. Questo è il caso di Bayle, e di altri increduli, i quali negano i Misterj come cose impossibili, e ripugnanti, quando, come benissimo contro essi dimostrò il dotto P. Gerdil, versano questi circa cose, di cui non abbiamo idee, e perciò non possiamo giudicare della convenienza, o ripugnanza loro, e dobbiamo sottometterci ad un testimonio tale, qual si è Dio medesimo (3).

La seconda specie della Critica de' fatti è quando dalla narrazione di un fatto si congetturano altri fatti, ed avvenimenti, che nascosti ci erano. Ogni azione è composta di molte altre azioni subalterne, ce ne sono delle più, e delle meno composte, infino [145] che si giunga a' primi moti naturali sia morali, che fisici. Inoltre ogni azione ha qualche maggiore, o minore influenza, o relazione con altre azioni, che l'hanno preceduta, accompagnata, o seguita: ora di queste azioni talvolta ci sono note soltanto le principali, ignote del tutto, od in parte le subalterne, e viceversa, noti i principj, ignoto ciò, che ne sia seguito, od all'opposto né vi è alcun mezzo, per cui, servendoci di altre specie di Critica, possiamo venirne in cognizione: ma siccome ciò, che ci è noto, ha sempre qualche relazione con ciò, che ci è nascosto, un mezzo di arrivare a quello si è il guardar que' fatti, che noti ci sono per tutti gli aspetti, che aver possono seguendo il filo degli avvenimenti, osservandone attentamente le circostanze, indagandone gli effetti collaterali, gli antecedenti, le conseguenze, congetturando in somma dal noto l'ignoto, il che forma la seconda specie, come detto abbiamo, della Critica de' fatti. E se, come sopra abbiam veduto, uno Storico a misura che sarà di maggior scienza, e di maggior ingegno fornito farà più riflessioni sopra un avvenimento; così vedrà pure, per modo di spiegarmi, più fatti in un fatto.

[146] Gran prudenza si richiede per altro, ed un ben maturo discernimento per congetturare da fatti particolari, e subalterni un fatto più ampio, e generale. Più facile è, per quanto io stimo, lo scoprire per mezzo di un fatto noto quelli, che lo hanno preceduto, accompagnato, o seguito. Più facile senza alcun dubbio il raccogliere da un fatto noto, il quale altri fatti particolari ignoti sotto se comprenda questi fatti particolari medesimi. Ma nel primo caso non si può quasi mai formare la perfetta induzione (argomemto, di cui tanta stima faceva Bacone) onde fa mestieri di servirsi dell'analogía di un certo colpo d'occhio, il quale è un dono della Natura perfezionato dall'abito di filosofare sopra le cose, né si può co' precetti insegnare. Chi ha avuto lungamente le feste nelle mani, le ha poi finalmente negli occhi, disse un tratto Michel'Angelo parlando della profession sua.

Che i costumi de Romani in genere fossero peggiori a' tempi di Vitellio, di quello che lo fossero al tempo delle prime guerre civili, è un fatto generale, per accertarsi della verità di cui chi volesse procedere coll'ultima esattezza dovrebbe paragonare i costumi di ciascun de' Romani de' primi tempi [147] con quelli di ciascun de' medesimi negli ultimi, lunghissima faccenda, anzi impossibile. Ben diverso, ed infinitamente più breve è il cammino, che fa Tacito. Contentasi egli di confrontare due soli fatti singolari consimili, seguiti uno in un tempo, l'altro nell'altro. A' tempi del primo Triumvirato avendo in una civil zuffa un soldato ucciso un suo fratello, si passò il petto di disperazione, che all'incontro a' tempi delle rabbiose fazioni per l'Impero tra Vitellio, e Vespasiano, un soldato, il qual militava in una delle due armate, avendo parimenti ucciso un fratello, che combatteva nell'altra, osò pretendere il premio, che concedeasi a chi metteva a morte un nemico (4). Due risoluzioni così diverse per una stessa cagione fecero arguire da Tacito una generale depravazione de' costumi, e ne conchiude, che siccome gli antichi erano maggiormente stimolati [148] dalla gloria alle belle azioni, così provavano maggior disgusto delle cattive.

Si ricerca però ciò non ostante gran precauzione in questo genere di congetture. Bisogna badar bene di non inserire, che grande sia stato un secolo, perché ebbe un grand'uomo. Vi fu tal secolo, vi fu tal paese, che fu indegno di possedere tal gran Filosofo, tal gran Politico. Né si dee pure da un grand'errore argomentare, che infelice, e sciocca sia stata quella età, in cui si commise.

Vogliono alcuni, che il Colbert, quel Mecenate delle bell'Arti, quel Protettor de' begli ingegni, animator dell'industria, fautor de' Letterati, quel Colbert, che rese così celebre il Secolo di Luigi XIV, e che vivrà sempre negli scritti, e nella memoria de' Francesi, vogliono, dico, Autori assennati suoi nazionali, che abbia pensato più al brillante che al sodo, stabilite le manifatture colla rovina dell'Agricoltura, dato in questa parte una superiorità apparente soltanto, e mal sicura alla sua Nazione, rovesciato in una parola la piramide politica sagrificando le Arti produttrici, nutrici di uno Stato, alle Arti miglioratrici, e di lusso.

[149] Siccome poi da un grand'uomo non si può congetturare un gran secolo, così da un ingegnoso Sistema di Legislazione non si può sempre dedurre, che dotta fosse una Nazione. Licurgo, Solone, Numa uomini sommi certamente, che che ne dicano alcuni moderni Politici(5), ed ancorché abbiano avuto de' gran difetti, Odino, Manco-Capac fiorirono in secoli rozzi, ed incolti, e presso barbare Nazioni. Ma d'altra parte da inutili, mal ideate, ed anche sciocche leggi non si può inserire, che sciocca fosse quella età, e quel paese, che furono da quelle governati. Basta che uno o pochi cattivi ragionatori sieno stati i Legislatori di quella Nazione, ed i dotti nella oscurità, tuttocché in molto maggior numero. Perché un Sistema di Legislazione possa riuscir celebre nella Storia, non basta, che i Filosofi di quella tal Nazione sieno e grandi, e molti, ma oltre a ciò è necessario, che sieno tolti co' premj, e colla gloria principalmente, che è il guiderdone, cui sieno più sensibili le anime grandi, dall'ombra delle [150] private famiglie, e da' nascosti lor gabinetti, e collocati nella luce del Pubblico.

Del resto per raccogliere lo spirito di un secolo, e rappresentarlo in una Storia universale, comecché non si possa andar dietro ad ogni minutezza, fa d'uopo nulladimeno osservarlo non solo negli Storici, che ove sieno contemporanei, sono gli specchi più fedeli di una Nazione, ma ancora in tutti i più famosi Scrittori d'ogni genere, che questa produsse, e non determinarsi se non dopo ben mature considerazioni: perciocché ebbe pure i suoi Bavj, ed i suoi Mevj il Secolo di Augusto. Possono anche servire di scorta le Opere di que' Moderni, che raccolsero, ed unirono fatti per questo medesimo fine. Ed a proposito appunto del Secolo di Augusto, che è una delle più belle parti della Storia dell'antica Italia, v'ha una dotta Operetta di un Letterato Inglese(6), che non potrebbe per quello, ch'io stimo riuscir se non utile a chi prendesse a compilarla.

[151] Nulla più mi resta da aggiungere, se non che per rispetto alle parti oscure di un medesimo fatto, il quale noto sia, è ben riflettere, che delle azioni più strepitose per l'ordinario difficilissimo é saperne i principj, ed i consiglj, che le governarono, e diressero. È interesse de' diversi personaggi, e delle diverse fazioni il tener celato quel tanto de' fatti, che fa contro ad essi, falsificarne quella parte, che fa per gli altri, il che riesce tanto più facile, quanto le cagioni di molti movimenti, ed i consiglj di molte deliberazioni hanno origine ne' gabinetti de' Grandi, e si dibattono fuori della vista del Pubblico, di tal fatta, che in quelle cose, di cui giova maggiormente di essere instruito, è ove appunto s'incontrano difficoltà, e dubbiezze maggiori. Vero è però che maggiore sarà la gloria dello Scrittore, quando giunga a scioglierle, e superarle.

Questi fatti poi, o parti secrete, e nascoste di fatti, che dir le vogliamo, non si possono tralasciare senza taccia di negligenza da qualunque Scrittore di una Storia universale. Sono talvolta importantissimi per lo conoscimento del cuore umano, per veder la giustizia, o la ingiustizia di un'azione, per discernere la ragion del fatto, che [152] è quella, che costituisce il diritto, l'utile, od il danno, che recò al Pubblico, le quali cose tutte formano il fine essenziale della Storia universale. Il fin qui detto appartiene alla critica de' fatti, tempo è ora di ragionare della Critica degli uomini, e prima di tutto della Critica degli uomini come narratori.

 

§.III. Della Critica degli uomini come narratori.

La Critica degli uomini come narratori, vale a dire l'osservare, se la testimonianza loro è senza alcuna affezione, se sono persone di probità, e d'intelligenza, né facili ad essere aggirati, è necessaria ad ogni Storico, ed è quella specie di Critica, di cui si servono per l'ordinario maggiormente gli Scrittori di una Storia contemporanea. Anzi que' medesimi, i quali descriver vogliono un affare condotto da essi, ove affidato ne abbiano la direzione di alcune parti ad altri, se vogliono descriverlo esattamente , devono informarsi da que' loro subalterni dell'esito di quel tale particolar affare, che fu da quest'ultimi regolato, ed è forza, che pongano in opera questa specie di Critica; [153] se non voglion correr rischio di scrivere una falsità in quel tal particolare. Il celebre Asinio Pollione accusava Cesare d'aver troppo leggermente prestato credenza a' suoi Luogotenenti, come narra Svetonio(7).

Ho detto, che la Critica degli uomini come narratori è necessaria principalmente agli Storici, che descriver vogliano una Storia o contemporanea, o che, quantunque fosse di tempi antecedenti, saper non si possa se non per mezzo di uomini narratori, come nelle Nazioni barbare, e senza lettere, ove la tradizione tien luogo di Scrittori: ma da ciò non si dee per niun modo inferire, che nelle Storie, in cui lo Scrittore delle medesime dee considerar la testimonianza fatta dagli anteriori, o come Scrittori, o come Autori di opere permanenti, non resti più necessaria una tale specie di Critica.

Gli Scrittori di una Storia, di cui non si hanno, ed aver non si possono altri testimonj che semplici narratori, non abbisognano di altra Critica, che di questa; ma gli Storici, che hanno per testimonj di quegli [154] avvenimenti, con cui devono tessere la Storia loro, o Scrittori, o Autori di opere permanenti, hanno mestieri e di questa, e di quelle altre specie di Critica, le quali sono necessarie per esaminare la testimonianza degli uomini come Scrittori, o come Autori di opere permanenti. Non è adunque un cammino diverso, ma un passo più oltre nella strada medesima quello, che fanno essi, perciocché con qualunque mezzo veniamo in cognizione di ciò, che saper non si può se non per testimonianza, sempre lo sappiamo dagli uomini; resta adunque sempre necessario il cercare, se essi si son potuti ingannare, o vollero tessere inganni altrui. Facciamo pertanto passaggio a quella Critica, che si vuol aggiugnere, quando sieno Scrittori.

§.IV. Della Critica degli Scrittori in genere.

Qui non è già mio intendimento di trattar per minuto di tutte le parti di quell'arte, che comunemente chiamasi Critica, cioè né delle filosofiche ricerche intorno alle parole come segni, qual è per [155] intero il terzo Libro del Saggio del Locke sopra l'Intendimento umano , di cui fece uso grandissimo il Le-Clerc nella sua Arte Critica, e quali son pure due capi della Logica Italiana del Signor Genovesi, che più brevemente, ma con non minore ingegno, ed acume trattò questa materia(8), né dell'Arte diplomatica, di cui abbiamo molti dotti Trattati, quali sono i Libri delle cose diplomatiche del P. Mabillon, la Paleografia greca del P. Monfaucon, l'Arte di verificar le date di alcuni dotti Benedettini, la Storia diplomatica del Maffei, con infiniti altri libri scritti da molti Letterati moderni; né dell'Arte Ermeneutica, ossia dell'Arte d'interpretare, e ricavare il vero senso dalle espressioni degli Scrittori, né di molte altre particolari notizie di cose positive, ed arbitrarie, le quali hanno luogo nell'Arte Critica. Mio intendimento è soltanto l'accennare in genere l'uso, che lo Scrittore di una Storia universale far dee degli Storici antecedenti.

Ma avanti d'inoltrarmi in una tal materia è d'uopo premettere potersi dividere a questo proposito in tre classi gli Storici, [156] chiamando gli uni Storici Critici, gli altri Filosofi, misti gli ultimi. Già abbiamo sopra avvertito(9), che la Storia per rispetto al diverso modo di esser trattata dividevasi in Istoria mera, e mista, ed in ordine alla mista abbiamo notato poter essere mista in due maniere; la prima, quando lo Storico reca in mezzo le prove di ciò, che asserisce; l'altra, quando non le prove di ciò, ch'ei narra, e che già presuppone provato ei reca in mezzo, ma espone que' ragionamenti, i quali pensa, che giovar possanoa quella Facoltà, a profitto di cui detta la sua Storia. Al che tutto si dee aggiugnere, che la Storia può esser mista parte in un modo, e parte in un altro, sì che anche quelle Storie, le quali chiamiamo miste di Critica, sieno in parte miste di Filosofia e viceversa. Ma per fissar qualche limite penso doversi chiamare Storia mista di Critica, quando primeggia la Critica, mista di Filosofia, quando primeggia la Filosofia, mista in entrambe le maniere, quando né l'una, né l'altra domina principalmente, onde come dissi gli Storici chiamar si possono per questo rispetto o Storici Critici, o Storici [157] Filosofi, o Critici, e Filosofi ad un tempo medesimo.

Premesso questo, in uno Scrittore di una Storia universale di una Nazione primeggiar dee, secondo ch'io stimo, il carattere di Storico Filosofo, dee però egli pure servirsi della Critica, ma dee servirsene, direi così, più ampiamente, ed in grande che uno Scrittor Critico ex professo, né è da credere che un Genio capace di filosofare con viste così sublimi sopra delle Nazioni, sopra le leggi loro, i costumi, le rivoluzioni degli Imperj, qual è l'officio dello Scrittore di una Storia universale, possa andar dietro a mille minute particolarità, che necessarie sono agli Storici Critici. Consiste adunque il dover suo piuttosto nel servirsi utilmente degli Storici Critici, che nel dettare una Storia Critica, e la Critica sarà per lui, per servirmi di nuovo delle parole appunto di un Genio sommo «una fiaccola contro gli abusi, i pregiudizj, e i partiti degli Scrittori, che sgombra le assurdità, e le imposture dell'ignoranza, o della malignità, perché l'occhio del Genio essendo quello della sovrana ragione, non reggono avanti a lui l'error puerile, la tradizion donnesca, la popolare credulità,[158] l'amor del falso maraviglioso, o della superstiziosa pietà»(10) , e perciò la sua Critica dee consistere in non fidarsi ciecamente a coloro, i quali hanno preparate le materie, in ricorrere agli Autori, e memorie originali da essi accennate, giudicarne in caso di discrepanza, in somma non dee credersi lo Storico Filosofo di ritrovar sempre ne' Critici la verità, ma bensì sgombrato il cammino per arrivarvi, e fatte in gran parte le fatiche necessarie ad un tal fine.

Il ricercare, e produrre nuove iscrizioni, medaglie, diplomi, memorie recondite, ed illustrarle non è proprio di colui, che intende scrivere una Storia universale di una Nazione, ma bensì dee egli servirsi bene di ciò, che s'è ritrovato; e però non sarebbe mai prudente partito il farsi a scrivere filosoficamente una Storia universale di una Nazione, di cui non si fossero peranco ripescate da' Critici tra la caligine dell'antichità tante notizie, da cui raccogliere si potesse un corpo bastante di fatti necessario per lo fine di questo genere di Storia, perciocché o gli mancherebbero i dati, di cui [159] abbisogna, o sarebbe forzato a fare di proposito il Critico, occupazione, che abbiamo osservato non molto confarsi con un Genio Filosofico, e sublime, che richiede tempo lunghissimo, minute ricerche, e quello, che è più, che dee non poche volte aspettare piuttosto il favor del caso, che la perspicacia dello Scrittore.

Questo non avrebbe però luogo, quando si trattasse soltanto di un qualche spazio di tempo, in cui lo Storico scarseggiasse a tal segno di que' dati, i quali necessarj gli sono, come le esperienze al Fisico, che non potesse ricavare un sufficiente ritratto di quella età, né si potrebbe pure per questo chiamare Storia imperfetta la sua Opera, come abbiamo altrove avvertito(11). Perciocché, lasciando stare, che qualche debol lume potrebbe aversi dalle Storie de' vicini, servendo talvolta di specchio, per dir così, le confinanti Nazioni, o da quanto avanti, e dopo è noto nella Storia della Nazione medesima per supplire per mezzo di congetture a coteste lacune, che in tal caso difficili sarebbero a ritrovare, ed anche incerti i dati, come quelli, che richiederebbero la Critica [160] de' fatti, di cui abbiam sopra ragionato, ma non ne sarebbe lo Storico del tutto privo; lasciando, dico, questo da parte, poco dee importare essere per qualche tempo in una dubbia luce, od anche nell'oscurità, se avanti, e dopo sfavilla chiaramente il vero.

Il dovere poi de' Critici ex professo è di tentare gli Scrittori co' mezzi dell'arte loro, come de' Fisici di tentar la Natura colle esperienze, è officio loro il dileguar le tenebre de' fatti antichi, dubbiosi, involti tra favole, variamente descritti da' contemporanei, o malamente intesi da' posteriori. Dee non pertanto loro esser noto il fine principale della Storia per la scelta de' fatti, acciocché non si affatichino nel cercare, e mettere in chiaro gli avvenimenti di poco rilievo, e tanto meno tralascino i più notabili, adoperandosi a proporzione della importanza loro. Laonde, siccome, per quanto abbiam detto testé, devono esser Critici in parte gli Storici Filosofi, devono pure esser Filosofi in parte i Critici.

 

§V. Delle diverse qualità intrinseche, ed estrinseche degli Storici.

[161] Veniamo ora a quella specie di Critica degli Scrittori, che fa mestieri più d'ogni altra allo Storico universale di una Nazione. E prima di tutto è bene avertire, che quanto più si allontana la Storia da' tempi, o da' paesi dello Scrittore, tanto maggior numero si richiede di notizie positive di Lingue, di Codici, d'Iscrizioni, di Scienza di usi, e di costumi, di apparato in somma di erudizione: ma io qui non intendo di ragionare di una tale specie di Critica, la quale riguarda i mezzi, con cui manifestarono gli Storici i loro pensieri, ma bensì di quella, che nasce dall'osservare i loro pensieri medesimi, il corpo della Storia da ciascheduno di essi descritta, per sapere da quali di essi si vogliano raccogliere le opportune notizie, quale le possa dare più abbondanti e sicure, come da essi si possa raccogliere il più fedel ritratto del secolo loro.

Ciò premesso, diversa è, come a tutti è noto, l'indole naturale di ciascun uomo, [162] diversa l'educazione, perché proveniente in tutto o in parte da uomini diversi, e quando anche fosse uniforme, si diversifica dalla diversa indole di colui, che viene educato, diversi pure sono i secoli, diversi i paesi; dunque non solo la natura, e la educazione diversa di ciascuno individuo farà, che questi veda il Mondo diversamente, ma l'età pure, in cui ciascuno è vivuto, i costumi, le leggi, i pregiudizj pubblici, la Religione del suo paese formeranno, come dice il Signor Genovesi, per ogni Scrittore un atmosfera di ragione, del cui colore voglia o no dovrassi imbevere(12); onde ottima è la regola, che ne segue, che per ben intendere i fatti raccontati da uno Scrittore, ed assicurarsene della verità, è d'uopo sapere e la Storia particolare della vita di lui, e la Storia generale del suo secolo, e del suo paese.

Ma se vedono gli Storici il Mondo diversamente, diversamente pure il rappresenteranno; né questa diversità consiste soltanto nello immaginarselo che fa l'Autore diverso da quello che è, e perciò presentandone un falso aspetto, ma anche nel prescegliere tra gli [163] aspetti veri piuttosto questo, che quello. Queste diversità pertanto influiscono nella scelta de' fatti, e nelle osservazioni, e per rispetto a quello, di cui ora trattar dobbiamo, anche nella verità, nello essere lo Storico più o meno informato, nello estendersi più o meno ne' fatti, il che è necessario, che sappia lo Scrittore, che prende a compilarli, per venire in cognizione presso quale specie di Storici debba far ricerca di fatti, a quali debba fidarsi maggiormente.

Ora di queste diverse qualità chiameremo intrinseche quelle, le quali provengono unicamente dalla indole, e dalla particolare educazione dello Scrittore, e che compongono la vita privata di lui, e per tali intendo la probità, l'ingegno, le buone, o malvagie inclinazioni, le passioni, ed affezioni, il genere di vita menato, la Scienza di quelle Facoltà, le quali maggiormente importano per trattar la materia, che preso ha a trattare. Chiameremo poi estrinseche quelle, che compongono la Storia universale della età, e paese di lui, e derivano dalla coltura, o rozzezza del secolo, dall'essere stato vicino o lontano da que' tempi, di cui scrive l'Istoria, dalle occasioni, che ebbe d'instruirsi, e di andare a' fonti, [164] dalla Religione, che professò; dal che tutto ne segue, come vedremo, che hanno i loro vantaggi, e svantagi gli Storici nazionali, i loro gli stranieri, hanno i loro i contemporanei, i loro i lontani, ha i suoi svantaggi non solo l'ignoranza, ma la troppa coltura eziandio, i secoli di lusso non meno che i barbari, e rozzi.

Nulla mi rimane a dire intorno alle qualità intrinseche degli Storici. Basta per questa parte la Critica degli uomini come narratori, con questa sola differenza, che quando gli uomini sieno soltanto narratori, queste qualità intrinseche o sono note per se, o si raccolgono dalla testimonianza di altre persone, che all'incontro le qualità intrinseche degli Scrittori si possono soltanto ricavare ordinariamente da' loro scritti medesimi, o dalla testimonianza di altri Scrittori.

Assai più ci resta a dire intorno alle qualità estrinseche, e per farci prima di tutto a considerare quelle, che dalla coltura, o dalla barbarie de' secoli derivano, e che formano ciò, che Fontenelle chiama Storia della Storia, verremo ricavando tale Storia appunto dalla Storia delle Nazioni. La Storia adunque nell'infanzia de' popoli è rozza com'essi, piena di favole per pascere la [165] fantasia loro, tale in una parola quali piacciono i racconti a' fanciulli; narrate loro cose meravigliose, e poco gli importa della verità, e della utilità, che da tali racconti possa nascere. Saranno adunque le Storie composte in que' tempi raccolte di prodigiose tradizioni, o poesie rozze in parte, ma piene d'idea, di maschio vigore, ed originali, essendo le Nazioni rozze dotate di più forte, e vivace fantasía, come da un Filosofo sommo fu notato, e perciò per certo rispetto più poetiche delle colte. Tali erano i Poemi de' Bardi de' Celti; Ossian per esempio. Tali pure que' degli Scaldi degli Scandinavj.

In un secolo, il quale comincii a spogliarsi della barbarie, saranno le Storie nudi registri, e registri di que' fatti, che maggiormente feriscono la fantasía di quegli Storici ancor rozzi, e sono giudicati dagli uomini di que' tempi più importanti. La verità, che è la principal dote della Storia, e la base di tutte le altre, ha diritto di precedere le riflessioni. Ristretta è però assai la sfera delle verità Storiche, di cui gli Scrittori di que' tempi ci possono fornire. Per poco che si allontanino dal loro paese, o dalla età loro, diventano tosto sospetti. Poche essendo le Scienze in que' tempi, e scarse [166] le notizie, ristretto e molto limitato è il numero delle idee; ora un punto essenziale in materia di fatti è, come dice il più volte lodato Signor Genovesi(13), che gli uomini ordinariamente non si danno altro fondamento del loro credere, o discredere in Istoria, salvoché le proprie idee, onde ne segue: I. Che come cresce il numero delle nostre idee, così cresce la facoltà di credere il vero: II. Come cresce il numero delle idee, cresce la facoltà di discredere il falso creduto ne' tempi d'ignoranza. Un Cronista Milanese nella Raccolta del Muratori, parlando di que' della Torre una volta Signori di Milano, dice, che gli antenati di quella famiglia aveano ottenuto Castella in Feudo da S. Ambrogio. Non avea sufficienti idee il buon Cronista per poter conoscere l'insussistenza di questa popolar favola. Perché poco innanzi all'età sua erano stati gli Arcivescovi padroni di Milano, e non si parlava allora d'altro, che di feudi, e d'investiture, credevasi egli, che anche fosse così a' tempi di S. Ambrogio. Se ne potrebbono recare mille altri esempi. Le riflessioni, se pure ne fanno alcuna tali [167] Storici, non possono essere di gran giovamento, essendo o ignote, o per anco in cuna le Facoltà, da cui sorgono. La Critica de' fatti è pur mancante d'assai, non conoscendo essi a fondo la natura dell'uomo, e la Storia della Natura in se, che sono i fondamenti di una tale specie di Critica. Ed una tale ignoranza congiunta coll'amor del maraviglioso, che ancor domina in quell'età, fa che non sono sgombri affatto da racconti di falsi prodigj, apparizioni di spiriti, predizioni, sogni, malíe, incanti ec.

Ma ne' secoli colti si sente dalla coltura loro la Storia, si scelgono quegli avvenimenti, i quali più di tutti utili sono al fine principale di quella; si esamina con occhio critico la verità de' medesimi, è sparsa di caratteri, adorna di riflessioni politiche, e morali, di paragoni coll'antica, si distribuiscono saggiamente i fatti, e si descrivono con eleganza, e con ornamenti degni di una grave matrona, quale si è la Storia. Perciocché se in que' secoli, che tra la barbarie, ed il lusso delle Nazioni si trovano, in quel punto per isventura del genere umano poco durevole, gli uomini sono il più che si può felici, il che non sarebbe se nel loro più alto grado di perfezione non [168] fossero le Scienze, attesoché esse fanno o direttamente, od indirettamente gran parte della felicità loro, ne segue, che dovranno pure tali secoli essere i più favorevoli per la Storia. E se i veri Storici hanno ad essere, come si dice, i più savj degli uomini, è da credere, che i migliori sieno coloro, che scrivono in una età colta. Anzi di più, essendo gli Scrittori, e principalmente gli Storici, gli specchi più fedeli del loro secolo, si raccoglie da essi più che da ogni altro la coltura, o la barbarie dell'età, e della Nazione loro. L'aver avuto una Nazione un Tucidide, un Livio, un Giucciardini per Istorici, dimostra l'eccellenza di questa sopra le altre, che non l'ebbero.

Ne' secoli raffinati finalmente resta corrotta la Storia da Sistemi aerei, e riflessioni studiate, ed è spinta l'Arte Storica, come le altre Scienze, ed i comodi della vita, di là da' suoi confini. La verità stessa a cagione delle fazioni, e del corrotto governo pericola assai nelle memorie di un tal secolo. Le Storie sono o satire, o adulazioni. I fatti, essendosi gli Autori formata una falsa idea della virtù, e della vera utilità della Storia, non sono più scelti a dovere; si [169] tralasciano i minuti racconti, i quali sono quegli, che ci aprono la strada a' più intimi arcani del cuor dell'uomo; si riempiono le carte d'imprese romanzesche. La Storia è in somma come gli uomini; si sente allora adunque della corruzione del cuor loro, e del loro ingegno.

Nè si debbono passar sotto silenzio quelle qualità estrinseche degli Storici, le quali provengono dal clima diverso, e dalla diversa forma di Governo. Se ne' Professori delle Scienze più astratte, come osservò il Signor Genovesi(14), si conoscono i caratteri delle Nazioni, si vede, che Aristotile fu Greco, Averoe Arabo, Leibnizio Tedesco, Neutone Inglese, Cartesio Francese, Galileo Italiano, tanto più si conoscerà questo negli Storici. E di fatti gli Scrittori di certe Nazioni sono generalmente parlando troppo nudi e digiuni, di altre troppo più di quel che si convenga sofistici e sottili, di altre vantatori, di altre narratori di maraviglie, e di favole, nel che, oltre alla pubblica, e privata educazione, ed alla coltura, o barbarie del secolo, v'influisce pur grandemente il clima. Lo stesso dicasi delle [170] diverse forme di Governo; perciocché lasciando stare, che i Governi corrotti sono dannosi agli uomini, alle Scienze tutte, ed a quelli medesimi, che ne abusano, molto più possono essere informati, generalmete parlando, gli Storici di Repubbliche massime popolari, che gli Storici, i quali scrissero sotto Governi Monarchici: ma d'altra parte gli Storici delle Repubbliche, in ispecie popolari o miste, più facile è, che sieno invasi dallo spirito di partito.

Altra qualità estrinseca degli Storici, a cui si dee badar non poco, è, se lo Scrittore detta la Storia della propria Nazione, o se è uno straniero. Agli Storici stranieri tutto riesce nuovo, e perciò tengono registro d'ogni cosa, che all'incontro i Nazionali tralasciano certe notizie, che dar ci potrebbono, perché troppo comuni avendole tutto giorno avanti agli occhi; laonde disse Grozio nella sua famosa lettera al du Maurier, molto più potersi imparare dagli Autori Greci, che hanno scritta la Storia di Roma, che dagli stessi Storici Romani. Non hanno però poi questi per l'ordinario la facilità d'essere informati come i nazionali, onde si può conchiudere, che più cose ci tramandano gli stranieri, più poche, ma più [171] sicure i nazionali. Questo tuttavia intender si dee in generale, e quando non si ha altra particolar ragione di preferire tale Storico ad un altro; perciocché quando lo straniero é informato, essendo naturalmente più imparziale, ed estendendosi maggiormete la sua curiosità, si dee antiporre al nazionale, come dice Grozio essere da preferirsi i Greci informati, quali sono Polibio, e Dionigi di Alicarnasso, a' Romani. E per rispetto agli Storici Italiani, che scrissero Storie straniere, si devono forse a non pochi di que' medesimi paesi antiporre il Davila, ed il Bentivoglio, i quali, ancorché non sieno cruscanti (il che è un gran delitto presso cert'uni) sono però benissimo informati degli affari, imparziali, di buon senso, ed anche non isfornirsi di venustà di stile. Non si dee del resto tralasciare un pregio, che hanno i nazionali soltanto, ed è l'instruirci che fanno senza avvisarsene di quel costume, di quella particolar foggia di pensare, che è propria di ciascuna Nazione. Quando leggiamo Cesare, Livio, Salustio, Tacito sentiamo favellare un Romano di que' tempi, in cui essi scriveano; la qual cosa è degna di molto maggior avvertenza, quando lo Storico scrive, non le antiche Storie [172] di sua patria, ma quelle di suo secolo medesimo.

E qui appunto cade in acconcio di ragionare di un'altra qualità estrinseca degli Storici, ed è, se sono contemporanei de' fatti, che descrivono, o lontani di tempo da questi. E qui pure è da notare, che non solo ha i suoi vantaggi l'esser vicini a' tempi, di cui si scrive la Storia, ma ha eziandio i suoi vantaggi l'esser lontani, come ha i suoi la vicinanza, i suoi la distanza de' paesi.

Pare a prima vista, che il meglio informato debba essere lo Storico contemporaneo. Certamente ne avrebbe i mezzi, ma la lontananza di tempo fa quello che farebbe la distanza de' paesi, aguzza la curiosità. La mancanza di certi fatti, e le oscurità, e dubbiezze, che ne derivano, fanno conoscere la necessità di averli, onde si procacciano i mezzi opportuni. Senzaché, per lasciar da parte, che le rivoluzioni più essenziali seguono molte volte i secoli oscuri, nè sono osservate da alcuno, non avendo i Cronisti di que' tempi occhi bastantemente filosofici per discernerli, anche quando seguono questi cambiamenti in secoli più colti, si vanno producando sì lentamente, e per tali così piccole, ed insensibili degradazioni, [173] che i contemporanei né se ne accorgono, né pensano di tenerne registro; se ne avvedono poi i posteri, i quali paragonano tempi tra loro molto distanti.

Del rimanente di Storici lontani da' tempi ve ne sono di più gradi, come ognun vede, qual più qual meno distante dal secolo, di cui scrive, ma qui eziandio si ha da osservare, che, quantunque sembri, che i meno lontani possano aver maggior numero di memorie, ed essere meglio informati, tuttavia, anche tralasciando la maggior coltura, di cui può esser fornito un secolo posteriore in paragone de' meno lontani, e perciò lasciando stare la maggior Critica, di cui possono essere dotati gli ultimi in paragone degli anteriori, si vuol osservare, dico, che il tempo non è poi così maligno, che distrugga solamente le memorie, ma anche (principalmente quando non venga meno l'opera indefessa di diligenti ricercatori) lascia di nuovo venir alla luce ciò, che avea nascosto; onde congiungendo le fatiche de' Critici, ed il favore del tempo medesimo, possono talvolta i più lontani essere meglio instruiti di quelli, che il sono meno. Quanto meglio non conosciamo noi i secoli di mezzo di quello, che li conoscessero i [174] nostri antenati dugento, o trecento anni fa? Si sono da due secoli a questa parte disotterrate tante Cronache, diplomi, istromenti, ed altre carte, si è perfezionata l'Arte Critica per intenderli, abbiamo Lessici, come quello famoso del Ducange, abbiamo Collezioni, abbiamo Illustrazioni di queste memorie, come la gran Raccolta del Muratori, e le Dissertazioni sue per le cose d'Italia, le Raccolte del Sirmondo, Duchesne, Dachery per le cose di Francia, quelle del Goldasto, Lindenbrogio, Leibnizio ec. per la Germania, di Cambdeno per l'Inghilterra, e di altri Letterati per le Storie delle altre parti di Europa, che possiamo esser sicuri di veder molto più avanti di essi nella Storia di que' secoli.

Non si dee però dissimulare, che gli Scrittori contemporanei quantunque non pensino ad istruirci, sono di un grandissimo uso per riguardo alla utilità, che proviene dal conoscere i caratteri delle Nazioni, bastando perciò, come sopra è detto, che verisimili fossero a' tempi loro i fatti da essi descritti, e per farci sapere certi usi, leggi, e costumi della età loro. Il Signor Montesquieu(15) parlando di una particolar maniera di [175] far la guerra presso i Franchi sotto la seconda schiatta de' Re loro, la qual formava, come egli si esprime, parte del Diritto pubblico di que' tempi, dice, che gli schiarimenti maggiori intorno a questo soggetto si trovano nelle Vite de' Santi di quel secolo. Ancorché non badino al fine che cerca lo Storico, anzi ancorché sieno talvolta sciocchi, ed inetti Scrittori, sono sempre utili i contemporaei, ci servono da maestri senza saperlo, e senza che sia intenzion loro. In questo senso può esser vero il detto di quell'antico, che la Storia comunque sia scritta, diletta.

Per questo medesimo rispetto sono pure in mancanza di contemporanei di maggior uso i meno lontani da' tempi, che i più lontani. Ancorché ci narrino favole, e popolari tradizioni si vogliono esaminare attentamente, perché talvolta il fondamento di queste tradizioni è Storia veridica adornata di circostanze favolose da chi si compiacque d'intesser fregi al vero, o pure anche, quando sieno interamente false, si può da esse ricavare il costume di quella età, a cui appartengono. Sia falso il fatto, che si attribuisce ad un personaggio, sarà pur vera l'esistenza del medesimo, sarà vero un [176] instituto, una legge, di cui si fa menzione in quel falso racconto. Sono i fatti composti di altri fatti più minuti; hanno i fatti relazioni, connessioni con altri fatti, come abbiamo altrove osservato. Un fatto adunque incidente o subalterno in una narrazione può esser vero, essendo falsa in genere la medesima. Narrando un falso avvenimento, può lo Storico riferirlo, e connetterlo poco o assai con altri veri, di cui non potremmo venir in cognizione, se non osservando per ogni aspetto, e per così dire notomizzando quella tal popolare, e favolosa tradizione, che ne' tempi men lontani da quello correva per la bocca del popolo, e che da lui ci fu conservata. Laonde saggiamente il Signor Muratori non volle togliere dall'Opera appunto di un antico nostro Storico Torinese, cioé dalla Cronica della Novalesa(16) molte favole, che secondo l'uso di quel tempo, che di tali cose non poco dilettavasi, v'inserì il buon Monaco, dicendo, [177] che si vogliono anche queste esporre all'esame de' Critici, i quali vi possono per avventura ritrovare preziose notizie nascoste(17). Anche l'oro si trova nella miniera tra la mondiglia.

Da' Filosofi pure Oratori, Poeti, e Scrittori d'ogni maniera contemporanei, o vicini si ricavano cognizioni importanti per la Storia, sia per raccogliere buona parte di quelle minute particolarità, che chiamansi anecdoti, le quali sono di una utilità grandissima, sia per avere un ritratto in grande del secolo loro. Omero (chi il crederebbe?) è più utile Storico che Poeta, descrisse gli suoi Dei bevoni, vendicatori, adulteri, malvagi in somma, e rozzi, quali erano gli uomini de' suoi tempi(18). Tanto sia detto de' contemporanei, e vicini a' tempi. Stimo soltanto di [178] aggiugnere doversi notare, in ordine a' diversi vantaggi, che hanno e questi, ed i lontani da' tempi, che se, come abbiam detto, possono riuscire utili i contemporanei, e vicini, ancorché inetti, i molto lontani da' tempi non possono giammai esserci di giovamento, se non sono uomini d'ingegno, e di erudizione forniti.

Degno è finalmente di particolar considerazione, che, per quel che appartiene alla distanza di tempo, in cui si abbatte lo Scrittore di una Storia, vi è un punto di vista, il quale è il più giusto, ed il più proprio per dettarla bene; tanto vicino, che aver si possono tutte le necessarie memorie; tanto lontano, che resta maggiormente eccitata la curiosità, e si possono discernere le variazioni, essendo già a notabili differeze insensibilmente pervenute.

Questa distanza è pure molte volte sufficiente per rendere spassionato, ed imparziale lo Storico. Il contemporaneo è troppo vicino agli avvenimenti, è sottoposto ad alterare la verità per adulazione, timore, odio, invidia, e che so io. La posterità è più giusta; e di questo intese di parlare Aristotile, secondo che stima il Bodino, quando disse, che le Storie non solo riescono [179] favolose, ed inutili per troppa antichità, ma anche per esser troppo recenti(19).

§.VI. Degli Scrittori di Antichità, e dell'uso che far se ne dee.

Alla Critica degli Scrittori succede la critica delle opere permanenti, da cui si raccolgono notizie di fatti, o piuttosto la Critica di quegli Scrittori, che le unirono, interpretarono, illustrarono, in una parola degli Antiquarj. Per opere permanenti, non potendosi pure qui fissare precisamente i limiti tra gli Scrittori, e gli Autori di opere tali, intendo poi anche alcuni monumenti, i quali per mezzo di lettere tramandati furono a' posteri, ma o per la brevità loro, come le iscrizioni, non possono in certo modo gli Autori di quelle chiamarsi Scrittori, o l'intenzione dello Scrittore non fu d'instruire colle notizie da lui descritte i venturi secoli, ma di perorare come Oratore, [180] fingere come Poeta, ragionar come Filosofo, ed indirettamente soltanto, incidentemente, in un lago di cose, che non fanno alla Storia, furono inserite per un qualche suo ben diverso fine, onde richieggono l'occhio critico degli Antiquarj per esser tratte fuori, ed illustrate, e perché giungano ad informarci della Storia. Siccome sopra abbiamo fatto distinzione tra gli Storici Critici, e gli Storici Filosofi, potrebbe in certa maniera questo paragrafo chiamarsi la Critica degli Scrittori Critici, come quello, in cui trattammo della Critica de' fatti, la Critica degli Scrittori Filosofi, non però in quanto ragionano sopra gli avvenimenti, ma solamente in quanto dalla narrazione de' fatti la verità dei medesimi, ed altri fatti raccolgono.

Si dee in secondo luogo avvertire, ch'io qui son ben lungi dal volermi inoltrare a parlar minutamente dello studio delle Antichità. Avanzerebbe d'assai le mie forze una tale idea, né d'altra parte appartien questo all'Arte Storica; è pertanto mio intendimento il determinare unicamente cosa sieno le Antichità, chi gli Antiquarj, quale sia l'uso finalmente, che far se ne debba dallo Scrittore di una Storia universale, dal che [181] mi spedirò quanto più brevemente per me si possa.

Sotto questa voce di Antichità abbiam veduto intendersi talvolta la Storia generale di una nazione, imperfetta però, piena di dubbiezze, e mancante per la distanza dei secoli, e mista di Critica, e questa chiameremo prima specie di Antichità. La diversità poi, che passa tra quelle, che in altro senso comunemente chiamansi Antichità, e la Storia, e formano appunto la seconda specie di Antichità, non è altra, se non che nella Storia universale tutto (in grande però) resta compreso; le Antichità non solo non abbracciano unicamente la Storia Civile, Ecclesiastica, Letteraria, Militare, od altra particolare Storia alquanto ampia di una nazione, ma discendono ad una sola parte di queste, ad una genealogia, a certi particolari instituti, usanze, riti, cerimonie, anzi istromenti, armi, utensili, sono in somma Storie per lo più molto particolari, perfette talvolta e compite, talvolta imperfette, miste di Critica, raccolte da varj Scrittori, monumenti, e da quanto per la Storia disperso di trova; mettono in un punto di vista quello, che sta quà e là disperso, confrontano i cambiamenti, che dopo un lungo [182] tratto di tempo seguirono, onde leggendoli dopo molte cose diverse possono essere sfuggiti di mente. Le Antichità sono, per dir così, buone tavole, le quali possono, come abbiamo osservato parlando degli Scrittori lontani da' tempi in paragone de' contemporanei, render migliore la Storia scritta da un Compilatore, che da uno Scrittore originale, perché fanno sì ch'egli aver possa sotto gli occhi ad un tratto gli usi di varj secoli, e presentarli a' lettori colle loro variazioni.

E qui è bene riflettere, che non potendosi avere, a cagione della quantità, e varietà di particolari cognizioni, che si richieggono, uno Scrittore Critico di una Storia universale di una nazione, diversi ne illustrano diverse parti, l'Atiquario Giureconsulto le antichità, che spettano alla Legislazione, l'Ecclesiastico, il Militare, e andate dicendo quelle, che spettano alla profession loro, onde da tutti questi ne risulta un corpo di Storia Critica universale della Nazione.

Del resto i laboriosi ricercatori delle Antichità non solo ricavano notizie da quelli, i quali loro le presentano per dir così, ma anche da chi ha tutt'altro fine. Abbiamo [183] veduto, che gli Scrittori contemporanei c'instruiscono senza avvisarsene, e senza che sia intenzion loro; ma coloro, che gli rendono utili sono gli Scrittori di Antichità, quando per esempio raccolgono qualche lume circa tal legge, tal pratica di Religione, tale usanza, e che so io, da' Poeti (comici principalmente, che rappresentano la vita ordinaria, qual conducevasi a' tempi loro) Oratori, Filosofi, inscrizioni, statue, bassi rilievi, cammei, dipinture, medaglie ec., utilissima fatica non essendo né i soli Storici, né i soli libri quelli, che informar ci possano di ciò, che è seguito.

Ben è vero, che da qualche Antiquario furono queste ricerche portate di là da' termini, quando a cagion d'esempio ingombrano le librerie di volumi intorno a minuzie, che non aveano altro pregio, che di essere antiche, il che è tanto più biasimevole, quando siamo per anco all'oscuro di cose di troppo maggiore importanza. Sappiamo come vestivano, come abitavano, come mangiavano i Romani, ci sono note le loro usanze, cirimonie, anzi i loro spettacoli e divertimenti istessi, né abbiamo ancora, come se ne lagna il dotto Maffei(20) [184] una sufficiente cognizione della forma, o per dir meglio diverse forme in diversi tempi del Governo loro. Inutili pure sono le fatiche degli Antiquarj, quando si adoperano intorno a materie, che quantunque sieno importanti per se, sì pochi pure, ed incerti sono i dati, i quali si hanno, che riescono eterne le quistioni, né v'ha alcuna speranza di poter giugnere giammai a scioglierle, e definirle.

Abbiamo detto sopra in genere dovere gli Storici Critici essere in parte Filosofi, perché si affatichino più o meno nel ricavare la verità del soggetto da essi scelto, a proporzione della importanza delle cose, lo stesso dicasi in ispecie degli Antiquarj. Anche queste minutezze possono riuscire di grande utilità indirettamente, ma qualora soltanto ci servano a discoprire qualche cosa, la quale appunto sia d'importanza. Né è così facile il discernere, quali di queste minutezze possano una volta riuscire interessanti; il tempo solo è quello, che lascia vedere quali sieno tali; perciocché non riflettono, anzi non possono riflettere i contemporanei, [185] che veggono gli oggetti chiari, a quelle particolarità, e minute circostanze, le quali mancando, possono ingenerare oscurità, od incertezza ne' posteri. Chi si facesse a descrivere gli abbigliamenti, le vesti, che si usano a' giorni nostri, certe foggie di conversare, di trattare, di cerimonie, e simili, essendo facilissima impresa, e l'utiltà, di cui, essendo tutte cose notissime, non è presente, non si acquisterebbe grande stima per la sua fatica. Senzaché, non avendo alcuna regola, che lo diriga nella scelta, potrebbe, non solo far conserva di molte cose, che non riuscirebbono mai di alcuna utilità diretta, od indiretta alla Storia, ma potrebbe eziandio tralasciarne taluna, che sarebe stata di troppo maggior giovamento. Quando poi per la distanza di tempo o di paese restano ignote queste particolarità, l'ignoranza porta oscurità, e questa medesima oscurità, che ne proviene nella intelligenza della Storia, e degli Scrittori, dimostra quali ricerche in questo particolare sieno utili, quali no, anzi accenna, per dir così, la misura di ciò, che ricercar si dee. Quando da questa regola si lasciano condurre, sobrj, e stimabilissimi riescono i Trattati degli Antiquarj, e tanta maggiore stima acquistano, [186] quanto maggior discernimento, Critica, e fatica si richiede per ricavar tali notizie dagli Scrittori, e da' monumenti cotemporanei.

Vero è però, che la principal cagione delle inutili ricerche si è la troppa stima concessa a tutto ciò, che suppone scienza, fatica, ed ingegno, quasiché l'uomo non sapesse rivolgere ad inutili oggetti queste belle doti, quando è pur troppo palese per la giornaliera esperienza, che tante fiate le impiega in cose non solo inutili, ma perniciose, e cattive. E se una delle più essenziali operazioni suggerite dal famoso Bacone per l'accrescimento delle Scienze si è di recidere tutto quello, che è inutile, e di porsi sul più breve sentiero, perciocché, come egli si esprime, un uomo, che vada a lenti passi per la vera strada vince qualunque veloce persona, la qual faccia un falso cammino, che anzi quanto più questa sarà veloce, tanto più si allontanerà dal termine, a cui dee giungere; così è pur d'uopo mettersi per una strada, che conduca a qualche utilità, altrimenti quanto maggiore sarà l'ingegno, e la dottrina di chi camina per istrade, che non conducono a nulla di giovevole, tanto più sarà da compiangerne l'uso. Ora di questo avvertimento, come a tutti è noto, hanno bisogno non pochi Antiquarj.

[187] In quanto all'uso, che degli Antiquarj far dee lo Scrittore di una Storia universale, ciò che abbiam detto intorno alla scelta de' fatti può intendersi qui ripetuto. Dee pertanto scegliere ciò, che stima a proposito da queste Storie particolari, inserirlo a suo luogo, e discioglierlo nel corpo della Storia. Dee però badar bene di non inserire troppa quantità di minute notizie, disdicendosi in un ampio quadro, in cui il dipintore sfoggiar debba una quantità di figure in grande, la finitezza del lavoro, che richiede un ritratto in miniatura, e non dovendo, come sopra è detto, entrare in una Storia universale tutti que' fatti, che entrar debbono in Istorie particolari, quali sono per lo più i Trattati di Antichità. Talvolta la copia, che se ne ha, fa passare i limiti. Dee pur proccurare di sfuggir le discussioni, principalmente trattandosi di Antichità della prima specie, ma presentare soltanto l'opinion sua fiancheggiata dalle più forte ragioni, che la sostengono, dovendo esser critico in parte, come abbiam detto l'Autore di una Storia universale, ma non essenndo obbligato, anzi non dovendo farlo ex professo.

Del resto io penso, che il modo, che tener debba lo Scrittore di una Storia universale [188] nel servirsi degli Storici anteriori, e degli Storici di qualunque maniera si sieno, sia questo. Dee prima di tutto fare una giusta stima della fede che s'ha da prestare a ciascuno Scrittore, dire, coll'autorità di quello, che crede più veritiero, tutto ciò, che giudica a proposito di dire, senza fermarsi a confutare gli altri di minor credito, ove gli sieno contrarj. Se essi poi narrano un fatto notabile tralasciato dal primo, si vuol questo raccontare sulla fede loro, non però se narrano le cose in diverso modo, si ha da scrivere in una parola tutto ciò, che stimasi vero, e tutto ciò, che giudicasi degno di essere conservato, non tutto ciò, che scrissero gli antichi. Vi è un caso solo, in cui si vogliono narrare le cose in diverse maniere, ed è quando non si sa precisamente la vera, in cui sono seguite. Si dee poi rigettare tutto ciò, che stimasi del tutto falso, del che però, quando vi può essere un notabil dubbio, tanto più se alcun grave, ed accreditato Scrittore vi ha dato credenza, se ne debbono presentare in breve le più forti, e convincenti prove, le quali ne facciano chiaramente conoscere la falsità.

Applichiamo ora il fin qui detto alla Storia dell'antica Italia. Non abbiamo Scrittori [189] contemporanei de' tempi, in cui gli Italiani erano ancor barbari e rozzi; non abbiamo né pure Storia compita de' tempi, in cui cominciarono a regolarsi sotto un formato Governo, ed a tener registro de' principali avvenimenti; ma sia le tradizioni, che correvano ne' tempi più colti, sia le memorie, che allora ancor esistevano, bastano per darci una sufficiente idea di que' tempi, raccogliendola dagli ultimi Scrittori, che li compilarono. Vero è, che è sempre un danno non poter sentir gli Italiani di que' primi secoli parlar delle cose proprie, ci instruirebbero gli stessi errori loro, nel che siamo più fortunati per riguardo alla seconda barbarie d'Italia. È forza pertanto, che ci fidiamo degli Scrittori dell'età colta di Roma, su cui non sappiamo qual effetto abbiano fatto quelle tradizioni e memorie, se ne abbiano ricavato un fedel ritratto di quella prima età, o pure per qualche loro fine abbiano avvilita o ingrandita la Storia, sia per errore, sia per colpa del loro secolo, Legislazione, pregiudizj, educazione, Religione, o costumi, essendovi cose, di cui possono meglio giudicare i posteri, e gli stranieri, come abbiam veduto, che i nazionali, ed i meno lontani da' tempi, in cui seguirono.

[190] Quanto poco di certo poi si sappia circa a' primi abitatori dell'Italia non fa d'uopo, ch'io il dica, abbastanza lo provano le quistioni de' Critici sopra questa materia, ed il non essere per anco giunti, eziandio con voluminosi Trattati, con grande apparato di scienza, e di erudizione, a poter fissare un ben fondato Sistema(21). Per la qual cosa, non essendo poi queste notizie di massima utilità per la Storia universale di una nazione, stimerei ottimo cosiglio il toccarle leggermente alla sfuggita senza fermarvisi sopra più di tanto, e dopo aver riferite le principali opinioni, lasciare, come fa Tacito parlando delle Antichità de' Germani(22), al giudizio di ciascun de' lettori il credere, o non credere quel che gli piace, senza [191] prendersi la briga di provarle, o di confutarle. Lo stesso, che ho detto de' primi abitatori, intendasi pure delle più antiche colonie, basterà pure anche di queste, a parer mio, darne soltanto un breve cenno. Qualche cosa di più sappiamo degli antichi Toscani, intorno alle memorie de' quali si affaticarono molti valenti Letterati, qualche cosa sappiamo pure della Legislazione, Scienze, Arti, potenza, costumi, lusso de' popoli, i quali abitarono gli ultimi confini d'Italia. Si può adunque, sfuggendo però le minutezze, e le prolisse discussioni, inserire nella Storia dell'antica Italia parte di quei frammenti, di queste tavole scampate dal naufragio, come le chiama Bacone. Dico sfuggendo le minutezze, non essendo tutto degno di entrare in una Storia universale ciò, che ha il solo pregio dell'Antichità, e della difficoltà di essere conosciuto. Dico sfuggendo le discussioni, non dovendo essere lo Scrittore di una tale Storia compositore di critiche Dissertazioni.

Del rimanente non lascierà di essergli di un gran uso l'osservare per questa parte quanto fu scritto da molti moderni di chiaro grido, il dare un'occhiata al Dempstero, al Gori, al Maffei, al Guarnacci, ad [192] un erudito Saggio intorno alla Storia degli antichi popoli d'Italia del nostro Signor Avvocato Durandi, alla Storia de' Celti del Pelloutier per riguardo alle antiche colonie di quella Nazione trasmigrate in Italia, e a molti altri Scrittori, che lungo sarebbe l'annoverare.

In quanto poi alla parte più nota della Storia dell'antica Italia, che comincia intorno alla fondazione di Roma, oltre a non pochi Storici originali, può servirsi il Compilatore di una tale Storia di tante Dissertazioni, Memorie, e Trattati di moderni, che abbiamo, anzi di Storie intere già compilate da Letterati Oltramontani, i quali variamente combinarono i fatti descritti dagli Storici originali, gli illustrarono, schiarirono, se ne accertarono, guardarono in una parola gli oggetti per certi lati non ancora stati osservati, essendo questo un avvantaggio di chi scrive ultimo, di potersi servire utilmente delle fatiche degli anteriori. Il male soltanto si è, che, quanto note ci sono le cose de' Romani, altrettanto ci sono oscure in gran parte quelle delle altre nazioni d'Italia. È molto mancante per questo rispetto l'antica Storia, e si può chiamar [193] piuttosto Storia Romana, che Storia d'Italia.

Questo è quel tanto di Critica, ch'io penso appartenere all'Arte Storica; veniamo ora alla disposizione de' fatti.



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Note al capitolo IV

(1) Genovesi Logic.Lib. II. Cap II § VIII.

(2) «Neque vero praeceperim ut ex Historia… mirabilium superstitiosae narrationes de maleficiis, fascinationibus, incantationibus, somniis, divinationibus, et similibus prorsus excludantur, ubi de facto, et re gesta liquido constet. Nondum enim innotuit, quibus in rebus, et quousque effectus superstitioni attributi ex causis naturalibus participent». Bac. Verul. de Aug. Scient. Lib. II. Cap. II.

(3) Introd. allo Studio della Relig. del P. Gerdil Disc. prelim. pag. 123.

(4) «Celeberrimos Auctores habeo tantam victoribus adversus fas nefasque irreverentiam fuisse, ut gregarius eques, occisum a se proxima acie fratrem professus, praemium a ducibus petierit… Ceterum et prioribus civium bellis par scelus inciderat. Nam praelio quo apud Janiculum adversum Cinnam pugnatum est Pompejanus miles fratrem suum, dein cognito facinore se ipsum interfecit… Tanto acrior apud Majores sicut virtutibus gloria ita flagitiis poenitentia fuit». Tacit. Hist. Lib. III. Cap. 51.

(5) Bielfeld Inst. Politiq. tom. I. Chap. I. §. 12, 13, 14, 15, 16.

(6) Blakwel Memoirs of the Court of Augustus. Quantunque io non abbia mai letta l'Opera di questo Autore, credo nulladimeno di poterne avventurare un tal giudicio per diversi squarci che ne ho veduti riferiti da altri Scrittori.

(7) «Pollio Asinius parum diligenter parumque integra veritate compositos putat (commentarios) quum Caesar pleraque, quae per alios erant gesta temere crediderit». Svet. in Jul. Caes. n. 56.

(8) Genovesi Logic. Lib. II. Cap. IV. e V.

(9) Cap. II. §. IV.

(10) Dell'Entusiasmo delle Belle Arti. «Genj, ed ingegni» p. 180.

(11) Cap. II. §. IV.

(12) Genovesi Logica Lib. II. Cap. VI. §. III.

(13) Genovesi Logic. Lib. III. Cap. IV. §. V.

(14) Genovesi Meditat. Filosof. «Meditat. II.» §. XI.

(15) Montesq. Esprit des Loix Lib. XXX. Chap. XI.

(16) Il Signor Terraneo nell'Adelaide Illustrata Par. I. Cap. X. pag. 68 dimostra, che il Monaco Benedettino Autore di questa Cronaca scrisse in Torino circa alla metà del secolo XI. nel Monastero di S. Andrea, e sospetta che sia quel Frate Giovanni Torinese, di cui parla Galvano Fiamma in Manip. Flor. Cap. 39. R.I. tom.XI. col.565.

(17) Murat. R.I. Tom. II. Par. II. nella Prefaz. a' frammenti della Cronaca del Monastero della Novalesa.

(18) «Tutti gli Dei di Omero sono i più scomunicati ghiotti, bevoni, femminieri, pederasti, che si possa immaginare, perché sono i caratteri de' Capi delle Tribù erranti de' tempi barbari». Genovesi Lez. di Econom. Civ. P.I. Cap. X. §. XXXVI. nota (b).« La memoria delle antichità, il carattere Storico de' costumi de' primi uomini, la proprietà dell'Orazione tutto è in questo Poeta mirabile. La Filosofia, il vero carattere eroico, che vuol dominare in un'Epopeja, la Teologia non vi possono esser peggiori». Id. P.I. Cap. XIV. §. XXIV.

(19) «Ac fortasse illud voluit Aristoteles cum diceret Historias non minus vetustate nimia, quam novitate fabulosas, et injucundas esse». Bodin Method. ad facil. Hist. cognit. Cap. IV.

(20) Maffei Verona Illust. Part. I. Lib. VII. Col. 154. La materia del Governo de' Romani non è peranco stata per verità ben presa, nè pur dai maggiori Eroi.

(21) Difficile è ritrovare nuovi monumenti per isciogliere le quistioni intorno alla Storia antichissima d'Italia. Abbiamo uno scarso numero di dati, e nulla più. Ora la varietà di questi Sistemi nasce, come osservò un tratto il Signor Terraneo ragionando meco di questa materia, dal guardarli che fanno gli Autori di questi sotto un diverso aspetto, dal disporli in un modo, od in un altro, e si serviva della similitudine delle cifre de' numeri, le quali non essendo più di nove, sono tuttavia capaci diversamente disposte, e più volte ripetute d'infinite diversissime combinazioni.

(22) «Quae neque confirmare argumentis, neque refellere in animo est, ex ingenio suo quisque addat, vel demat fidem». Tacit. de morib. German.



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