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Gaspare Gorresio Unità d'origine dei popoli Indo-Europei (*) |
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[582] Gli studi storici presi nel più ampio loro significato e nelle più larghe loro attinenze tengono ora il campo nelle scienze morali. Le recenti e grandi rivelazioni dellOriente, le nuove ed ardite ipotesi delle scienze naturali, la coscienza che a certi momenti di lor vita i popoli vogliono avere di loro stessi e delle passate loro condizioni, contribuirono a suscitare, ed ora alimentano lardore delle ricerche storiche. Né la sola storia propriamente detta crebbe, si distese, ed allargò la cerchia delle sue indagini, ma gli studi filologici in generale, che tanta parte ora occupano nel dominio della scienza, presero avviamento ed indirizzo essenzialmente storico. La filologia comparata, raccolte e raunate le membra sparse duna grande famiglia di lingue affini, e ragguagliati lun col laltro i costitutivi loro elementi, il modo di lor composizione, e le leggi del loro organismo e delle loro trasformazioni, pervenne a dimostrare con mirabile acume danalisi la comunanza della loro origine, ed a stabilire lantica unità delle nazioni Indo-Europee, della quale rimanevano bensì manifesti indizi, ma nessun argomento storico atto a chiarirli e a coordinarli. Né ciò solo: ma investigando quali e quanti vocaboli attenenti alla vita domestica e sociale, e indicanti un certo grado di civil coltura, avessero fra lor comuni due o più favelle duna [583] medesima famiglia, e come altri di quei vocaboli si trovassero poi non più comuni, ma peculiari e proprii e con forma particolare negli altri idiomi affini, la filologia comparata riuscì a stabilire con sufficiente probabilità 1ordine e la successione delle diverse migrazioni dei popoli Indo-Europei: ché è ragionevole il supporre che siano rimasti più lungo tempo uniti in comunanza di vita quei popoli e quegli idiomi che hanno fra lor comune maggior numero di vocaboli appartenenti al vivere domestico c civile, e siansi per contrario divise assai più innanzi dal comune ceppo, ignare ancora di quei vocaboli e delle cose da lor significate, quelle famiglie e quelle stirpi che dovettero poi più tardi e ciascuna da sé spartitamente crear quelle voci nella lor favella. Alla filologia comparata saggiunse un nuovo e potente sussidio per salire alle origini storiche dei popoli Indo-Europei, quello, voglio dire, della mitologia comparata. Nelle tradizioni delle varie stirpi Indo-Europee si ritrovano dispersi, c dove più dove meno alterati, miti, leggende, simboli che accennano ad una fonte comune, ad un semplice concetto primitivo da cui derivarono. La mitologia comparata, messasi a rintracciare con sagacità maravigliosa gli sparsi vestigi di quei miti, le schiette ed antiche loro forme e le varie loro trasformazioni, pervenne a trovarne ed a chiarirne lorigine, lidea prima generatrice, la fonte loro comune. Questa comunanza didiomi e di idee, questa unità dorigine dei popoli Indo-Europei rintracciata e messa in luce nel secolo nostro sarà certamente una delle più nobili glorie della scienza moderna. Prego gli augusti Personaggi e gli illustri Signori che onorarono di loro presenza questa adunanza, la quale rimarrà memoranda [584] negli annali dellAccademia, che non sia loro grave che io per brevi istanti e con rapidi tratti venga delineando la recondita altezza delle origini nostre. Ai confini occidentali dellIndia, in quella regione che dai cinque fiumi che la irrigano fu chiamata dai Greci Pentopotamia, dagli Aryi Sapta-Sindhu, ed oggi è il Penjab, stanziò anticamente, venti e più secoli innanzi lera, una vasta aggregazione di famiglie e di tribù, che andate lungamente errando per le alture dellAsia centrale, ed avuta poi più ferma e durevole sede nella Battriana e nella Sogdiana, regioni montane e liete per cui trascorre divallando 1Oxus, erano quindi discese nelle fertili e belle pianure sottoposte, rallegrate da splendido cielo, da mirabile fecondità e da limpide acque. Quelle famiglie, quelle tribù che si erano a mano a mano accozzate insieme, e che formeranno più tardi il popolo Indo-Aryo, attendevano in quei primordi dellerrante loro vita allagricoltura e alla pastorizia. La loro lingua, che svolgendo via via il fecondo e robusto suo germe, diventerà più tardi un capolavoro dellingegno umano, e le cui propaggini vigorose si ramificheranno nei principali idiomi europei, era allora un complesso di monosillabi radicali, dotati di una possanza maravigliosa, determinabili in modo infinito, e fecondi di tutte le immagini della parola e del pensiero. Nel primo periodo della loro vita i popoli sono principalmente dominati dallaspetto del mondo esterno, dallazione possente, irresistibile dei fenomeni naturali; quindi quel sentimento intimo, spontaneo, universale di un Essere sovrano, quel sentimento che spinge gli uomini alladorazione, al culto del divino, allespressione del pensiero religioso, dovea di necessità in quel primo periodo di lor vita manifestarsi in modo conforme al loro [585] sentire, volgersi ai grandi oggetti sensibili, idoleggiarli, farli divini, esplicarsi insomma nel culto della natura. Tale appunto fu il culto primitivo di quelle genti stanziate nelle regioni dellIndo. Elle invocarono con preci, sacrifizi ed inni laurora, il sole, la luna, il fuoco, i venti, i fiumi; salutavano con gioia il nascente crepuscolo del mattino e lo schiarirsi del giorno, celebravano la vittoria del Dio della luce sulla nemica tenebra della notte, e scioglievano inni di grazia alle divinità protettrici, mediante il cui soccorso elle uscivano vittoriose dallincessante lotta colle forze della natura e colle stirpi loro avverse. Nessun culto naturale, io credo, si manifestò mai con inni cosi nobili; tutto in essi ritrae dalla grandezza della natura, dagli aspetti sublimi che si offerivano a quelle vergini imaginative, dalla bellezza duno splendido cielo, dalla vastità dellorizzonte profondo dei monti. La lingua di quegli inni, benché piena di forme arcaiche, di strutture più che ardite, dun certo disordine che rivela il conato del pensiero nel trasformare in parola sensibile il verbo ideale, manifesta pur nondimeno una gagliardia ed una freschezza maravigliosa. I cantori antichi degli inni vedici sappellavano Risci, ossia veggenti, vati; i loro nomi alludevano al loro ufficio: Madhucandas è il poeta dal metro soave, Jetri è il cantor vittorioso, Medhatiti è lospite del sacrificio, Kanva è colui che scioglie linno di lode. Essi erano ad un tempo poeti e sacerdoti. Mentre arde il fuoco del sacrifizio spruzzato di pingue latte, fuoco suscitato conforme ai riti col pramnathana dellarani, ossia col fregare insieme due aridi legni (origine del gran mito di Prometeo rapitor del fuoco), il Risci capo della tribù intuona il canto solenne in faccia ai gioghi dellHimalaya ed alle correnti dellIndo. [586] Le condizioni e i primordi duna delle più antiche società che ha preceduto le nostre, e si collega per cento vincoli con esse, sarebbero nascosti in unoscurità impenetrabile, se non ne fosse rimasto qual autorevole monumento linnografia dei Vedi; in essi si ritrova la prima storia delle stirpi nostre. Dopo un lungo peregrinare nelle regioni dellIndo, preludio austero alla loro civiltà futura, le stirpi Arye si andarono a mano a mano allargando ad oriente, distendendosi nei bei piani dellampia valle che bagna il Gange. Colà essi fermarono stabil sede, e spartiti in più centri di civil coltura, ebbero potenza e gloria, una ricca e nobile letteratura, che sappellò sanscrita, e percorsero tutto lo stadio duna civiltà luminosa. Ma da quel gran ceppo primitivo delle nostre schiatte, disteso fra lHindukus e la Bukaria, nella Sogdiana, nella Battriana, e da cui, come pocanzi diceva, si spiccò il ramo delle stirpi Arye, più altri rami di popoli si staccarono a mano a mano, e portando con loro g1i elementi del comune idioma più o meno elaborati, tradizioni, idee, credenze, simboli e miti, si diffusero ad oriente ad occidente, ad austro e a borea possenti iniziatori delle civiltà nostre. Perocché le stirpi Indo-Europee furono nei tempi antichi, come nei moderni, le stirpi espansive per eccellenza; dallHimalaya allAtlantico esse si sparsero per tutto con larga piena, occuparono sedi distanti e diverse, ravvicinarono coi loro commerzi e vincolarono gli uni agli altri i popoli disgregati della famiglia umana, e trovarono infine recentemente i due più possenti mezzi di propagazione e di espandimento, lelettricità ed il vapore. Dalla Battriana, punto principale dirradiamento, e che oggi ancora ha nome in Oriente di madre di popoli, si [587] diramarono come da un gran centro più linee di migrazioni. Una linea tirata da quel centro e dirizzata al sud-ovest rappresenta il ramo iranico, che occupò ab antico la Persia e la Media, e viniziò quella civiltà e quel culto cui animò del suo spirito il Mazdaismo e che ebbero per più secoli celebrità e splendore. Una seconda linea, condotta nella direzione del lontano occidente indicherà la migrazione celtica, la prima e la più antica quella che più si allargò verso la regione occidentale occupando parte della Spagna, le Gallie, la Brettagna fino al limite dellAtlantico. Fra questa e la prima si diffusero le stirpi che divennero famose col nome di Greco-latine e da cui uscirono due mirabili civiltà e popoli di gran nome, gli antichi Pelasgi, i Dori, i Ioni, i Tirreni, gli Itali. Al disopra della linea celtica, salendo verso settentrione corre la linea germano-scandinava; più alto ancora la lituano-slava, per le quali si avviarono al nord dellEuropa i popoli compresi più tardi sotto quelle denominazioni. La via che ei percorsero con ordine di successione che la scienza ha saputo discernere e stabilire, è segnata oggi ancora da reminiscenze, da nomi, da indizi che ei lasciarono nelle lunghe loro migrazioni e nelle frequenti loro soste, e che rimasero prove irrefragabili del passaggio antico di quella grande fiumana di popoli. Tutte quelle genti spiccatesi da un ceppo comune dellAsia centrale, ed allargatesi successivamente e con varia fortuna ad occupare le diverse contrade dEuropa, combattendo le razze indigene ed avverse che trovarono già stanziate in ogni parte, quelle genti sono i nostri antenati. Esse si rannodano ad una razza comune favorita oltre ogni altra dalla natura, che con forza dilatante, immensa occupò le più belle contrade della terra, che [588] con lena indefessa iniziò i più alti e fecondi trovati di cui si onora la specie umana, e dalla quale uscirono le menti più splendide, VALMIKI ed OMERO, PLATONE e LEIBNITZ, NEWTON e LAGRANGE. Fra le molte tradizioni mantenutesi fra i popoli dEuropa, le quali, oltre allaffinità degli idiomi, accennano ad una comunanza dorigine colle genti Arye, meritano special menzione nella Grecia la teogonia dEsiodo, i cui miti, le cui storie divine rivelano unintima affinità colle idee Vediche, nelle contrade settentrionali le leggende, le Saghe delle Edde scandinave e della grande epopea dei Nibelungen, pieni amendue di miti, di idee e di simboli orientali; fra gli usi e i riti che confermano quellaffinità primitiva citerò il solenne sacrificio del cavallo, lasvamedha delle stirpi Arye, celebrato pure anticamente e con riti conformi dalle stirpi germane; citerò luso comune agli antichi popoli Scandinavi e Germani dardere le donne rimaste vedove sul rogo stesso che consumava il corpo dellestinto consorte, uso lungamente praticato dai popoli Aryi. Un recente viaggiatore inglese narra daver trovato oggidì ancora ai piedi dellHimalaya, nei villaggi abitati dai Siki, tutta lorganizzazione antica della comune teutonica; egli nota nella costituzione sociale degli odierni Siki la maggior parte degli ordini propri degli antichi Sassoni, somiglianza di leggi, dusi e didee, il tipo primitivo della Germania di TACITO. Ma quale fu la causa che costrinse quelle stirpi antiche ad abbandonare le loro sedi primitive e ad incominciare quel movimento di migrazioni che ho descritto pocanzi? Lasciando da parte le ragioni provvidenziali, arcane e le teorie della filosofia della storia, credo potersi affermare che la causa principale, immediata di quel gran [589] movimento di popoli furono le razze Mongoliche stanziate nelle parti settentrionali dellampia catena dellHimalaya, dividitrice antica delle schiatte umane, e che o per angustia di spazio o per avidità di stanza migliore, riversatesi sulle stirpi Indo-Europee che occupavano la parte meridionale di quelle alture, produssero quei grandi sconvolgimenti di tribù, di famiglie e di genti, da cui dovevano uscire i popoli dEuropa. La razza Mongolica fu allora, sì come in tempi più a noi vicini, la prima e fatal motrice dei profondi scommovimenti che conquassarono e dislocarono sulla terra le stirpi umane. Uno straboccamento di quei terribili nomadi precipitò i popoli germanici sullimpero romano nei primi secoli dellèra; un nuovo dilagamento di quei popoli conquassò il mondo nel secolo undecimo; e non sarà questo forse lultimo dei diluvi di quelle genti barbare e diverse. La guerra fra quelle razze e gli Aryi fu permanente, ostinata, feroce; lattestano le leggende eroiche del vecchio Iran, le memorie vediche e le iscrizioni cuneiformi. Le recondite affinità dei popoli Indo-Europei, i loro vincoli di comune origine furono bensì già presentiti in addietro; ma la gloria daverli messi in piena luce scientifica, e daver ricostrutto la storica unità delle schiatte Indo-Europee, appartiene alla scienza moderna. |
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Nota biograficaGorresio, Gaspare (1808-1891)[Fonti: voce di Dieudonné Denne-Baron in Nouvelle Biographie Générale, Paris, Firmin Didot, 1862, repr. Copenhague, 1966, voll. XXI-XXII, pp. 302-303; Angelo De Gubernatis, Matériaux pour servir à l'histoire de études orientales en Italie, Paris-Rome, 1876; G. Pugliese Carratelli, «L'indianistica a Napoli tra l'Otto e il Novecento», in La conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei scoli XVIII e XIX, a cura di Ugo Marazzi, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984, voll. 2 in 4 tomi, vol. II, tomo I, pp. 5-17; Narciso Nada,La Restaurazione, in L'Università di Torino. Profilo storico e istituzionale, a cura di Francesco Traniello, Torino, Pluriverso, 1993, pp. 34-39; Oscar Botto, Gli studi di orientalistica, ivi, pp. 134-140] La vita di Gaspare Gorresio è conosciuta solo in modo approssimativo e su diversi particolari mancano tuttora informazioni complete. La formazione, la cultura, il ruolo e il profilo complessivo di questo grande studioso, «forse il più noto sanscritista italiano» (Botto, 1993, 138), restano ancora da scrivere sulla base della documentazione inedita che con tutta probabilità sopravvive presso le istituzioni in cui Gorresio fu attivo. Quanto segue è dunque solo un breve schizzo inteso a fornire alcuni elementi di partenza per ulteriori approfondimenti. Linguista e orientalista italiano, nato il 20 giugno 1808 a Bagnasco, nel Piemonte meridionale (Monregalese), compì i suoi primi studi a Mondovì e fu poi mandato a Torino, presso (a quanto dice una fonte poco precisa) il Collegio delle Province, l'istituzione creata per effetto della promulgazione nel 1729 delle Costituzioni dell'Università di Vittorio Amedeo II e destinata da accogliere giovani meritevoli, ma di modeste condizioni sociali, segnalati dalle autorità scolastiche locali allo scopo di consentire loro la prosecuzione degli studi a spese dello Stato sabaudo. Per la precisone, negli anni immediatamente precedenti l'ingresso di Gorresio, il Collegio delle Province era stato un centro di opinioni liberali e costituzionali e da esso erano provenuti molti degli studenti, ma anche dei docenti che avevano dato vita a quei moti insurrezionali del gennaio-marzo 1821, in conseguenza dei quali il nuovo sovrano piemontese, Carlo Felice, decise la chiusura dell'istituzione (che sarebbe stata poi riaperta nel 1842 da Carlo Alberto). Solo per consentire la prosecuzione degli studi a studenti che fruivano di lasciti ereditari furono costituiti appositi collegi desinati agli iscritti ai corsi in Legge, Teologia e Lettere: fu dunque probabilmente grazie a questa soluzione che Gorresio poté iniziare il proprio curriculum universitario. Ottenuto il titolo di dottore in lettere nel 1830, Gorresio partì per la Germania, dove compì studi di filologia, storia e filosofia: quale università frequentasse e con quali personalità fosse entrato in contatto è, allo stato attuale delle indagini, ignoto. Al rientro a Torino, nel 1832, fu prima docente di storia presso l'Accademia militare, dove tenne corsi di cui pubblicò alcuni frammenti. Nel 1834 fu chiamato alla Facoltà di Scienze e Lettere dell'Università ed è a questo periodo che risale l'apparizione di diversi suoi studi sulle origini della mitologia, sulla poesia pindarica, sull'arte drammatica, sui rapporti tra le lingue greca, latina e germanica. Negli stessi anni Gorresio, con il contributo di diversi giovani scrittori, dette vita a Torino ad una rivista letteraria e scientifica intitolata «Il Subalpino» che ebbe una certa risonanza italiana. Era questa un'epoca di grande slancio degli studi di filologia comparata, un terreno di ricerca nuovo, sul quale si erano cimentati studiosi europei di gran nome e che sembrava promettere novità e scoperte di notevoli importanza e significato. Gorresio ne fu attratto e vi si dedicò inizialmente senza alcuna guida particolare. Solo nel 1838 decise di recarsi a Parigi, dove fu allievo di Eugène Burnouf ed ebbe la possibilità di entrare in contatto coi maggiori specialisti della materia. Nel giro di due anni il programma del suo successivo lavoro era definito. Le sue energie si indirizzarono prima verso il Ramayana, l'antica epopea sanscrita attribuita a Valmiki e contenente la summa della più remote tradizioni ariane, di cui Gorresio si sforzò di ricostituire e fissare il testo. A questo scopo soggiornò a Londra, per lavorarepresso la East India House e la Royal Society, dove erano conservate importanti collezioni manoscritte sanscrite. Nel 1843 fu in grado di pubblicare il primo volume del suo testo sanscrito del Ramayana, accompagnato da una fondamentale introduzione in cui egli affronta tutte le maggiori questioni storiche, letterarie, linguistiche e interpretative legate a questo grande poema. Fecero seguito altri nove volumi (per un totale di dieci), corredati di prefazioni e note che complessivamente prese offrono una messa a punto di eccezionale valore sui problemi di filologia sanscrita e di storia religiosa e letteraria relativi alle tradizioni ariane dell'antichità. Gorresio accompagnò il testo originale con una traduzione italiana che, insieme al lavoro di ricostituzione del testo, assicurò la fama internazionale del grande studioso. L'edizione fu realizzata a Parigi dall'Imprimérie Impériale in 10 volumi in-ottavo, e fu seguita da una seconda edizione di lusso, effettuata per ordine del governo sabaudo in soli 50 esemplari in quarto. Ultimata l'edizione-traduzione del Ramayana, Gorresio si dedicò ad un analogo lavoro per il Mahabharata, il secondo fondamentale documento dell'epica indiana antica. Durante il soggiorno parigino Gorresio studiò anche lingua e letteratura cinesi sotto la guida di Stanislas Julien, con l'intenzione di dedicarsi a ricerche sulla storia del buddhismo. Nel 1852 Gorresio fu chiamato dall'università di Torino a tenere un cattedra, la prima in Italia, di sanscrito e di letteratura indo-germanica. Membro dell'Academia delle Scienze di Torino e dal 1856 membro corrispondente dell'Académie des Inscriptions: della sua attività all'interno di queste due celebri istituzioni manca una ricostruzione d'insieme. Egli non fu certo una figura isolata di indologo, ma fu iniziatore di una illustre tradizione di studi sanscriti e di indologia tuttora viva presso l'università di Torino. Suoi continuatori furono studiosi come Giovanni Flechia (1811-1892), autore della prima grammatica sanscrita pubblicata in Italia e professore a Torino di Storia comparata di lingue classiche e neolatine e di sanscrito, nonché altri personaggi che contribuirono a fare di Torino il centro dell'indologia italiana e svolsero opera d'insegnamento in molte altre università italiane. Così Giacomo Lignana (1830-1891), Michele Kerbaker (1835-1914), Angelo de Gubernatis (1840-1913), Pietro Merlo (1850-1905), Oreste Nazari, Domenico Pezzi (1844-1905) e Italo M. Pizzi (1849-1920). E' puttosto sorprendente il constatare come una tradizione così illustre sia completamente assente nei volumi I due primi secoli dell'Accademia delle Scienze di Torino, apparsi nel 1985 e contenenti una serie di contributi sulla storia dell'Accademia in occasione del bicentenario della sua fondazione. Ciò è tanto più soprendente se si tiene conto che tra gli scritti di Gorresio figurano, a testimonianza del suo attivismo di membro del consesso torinese, numerose memorie comparse proprio nei volumi di Atti e Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino (di cui diamo qui di seguito l'elenco), nonché il breve scritto Notizia storica della R. Accademia delle Scienze di Torino, pubblicata nel volume Il primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino. Notizie storiche e bibliografiche (1783-1883), Torino, Stamperia Reale di G. B. Paravia, 1883, pp. 4-6. Contributi di G. Gorresio apparsi in Atti e Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino:
Note(*) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino pubblicati dagli Accademici Segretari delle due Classi. Volume secondo, 1866-67, Torino, Stamperia Reale, 1867, pp. 582-589. |